LE MURA DI PADOVA
Tutta la storia in breve
Quando si parla di Mura, a Padova, ci si riferisce di solito alla cinta cinquecentesca veneziana, quella che a tutti capita di incrociare o costeggiare ogni giorno, ogni volta che si attraversi la città. Delle mura medievali pochi si accorgono e sicuramente c'è chi pensa che porta Molino e Porta Altinate facciano parte delle stessa cinta delle altre cinque porte rimaste.
Del resto, dell'esistenza di un castello di Padova ci si comincia solo ora a rendere conto...
Scopo di queste brevi note è dunque di fornire un quadro di riferimento e una cronologia minima delle diverse opere di difesa che hanno interessato la città nel corso dei secoli.
Una più ampia e dettagliata trattazione dei singoli periodi, nonché di ogni singolo elemento superstite o scomparso delle cerchie medievali e veneziane (porte, bastioni e via dicendo), completa delle opportune indicazioni bibliografiche, è disponibile alle voci specifiche del menu a sinistra (pagine in via di completamento).
INDICE
- Il castello dalle origini a Ezzelino
- Le mura intermedie e quelle carraresi
- I Veneziani e l'assedio del 1509
- Le mura rinascimentali veneziane
- Le mura fra Ottocento e Novecento
(NB: buona parte delle immagini che accompagnano il testo possono essere ingrandite cliccandovi sopra)
PADOVA PREROMANA
Padova, come dimostrano gli scavi archeologici, non è città di fondazione romana. Lo confermano indirettamente da un lato la leggenda della fondazione da parte del troiano Antenore, dall'altro la difficoltà (secondo alcuni l'impossibilità) di ritrovare nella sua topografia antica il reticolo viario tipico delle città romane.
Già in epoca paleoveneta Padova, comunque si chiamasse allora, era una vera città, estesa all'interno di due grandi anse di un fiume di grande portata, verosimilmente l'attuale Brenta, il cui nome latino era Meduacus, che scorreva allora, o perlomeno un suo ramo scorreva, più a sud rispetto al suo corso attuale.
Alla prima epoca paleoveneta, a partire dall'VIII secolo, risalgono le palificate ritrovate in più occasioni lungo il corso del fiume (in primo piano nella foto a destra), mentre già dal VI si trovano lavori di arginatura in pietra. Argini, appunto, non mura, ma possiamo a buon diritto considerarle le prime difese della città, da quello che da fonte di vita poteva trasformarsi in un vero e feroce nemico, l'acqua...
PADOVA ROMANA
Con la colonizzazione romana, e soprattutto in epoca imperiale, Patavium, ancor prima di divenire municipio, si dota di tutte le strutture pubbliche e private caratteristiche di una città romana importante: foro, basilica, templi, strade lastricate, ponti...
Si dota anche di mura? Storici e archeologi usano ormai con sempre maggiore confidenza questo termine, che va preso però in senso lato.
E' un fatto che, se non sono stati localizzati molti edifici pubblici (solo il teatro, l’anfiteatro, forse la basilica, un tempio extra moenia, i moli del porto sotto l'Università e diversi ponti), e se tuttora si cercano tracce certe del foro, se neppure la struttura viaria è chiara, si sono invece trovate in più punti della città strutture murarie in grossi blocchi di pietra, all'interno della prima ansa del fiume: al ponte della Stua (oggi allo sbocco di Riviera dei Ponti Romani in Corso del Popolo), in Largo Europa (foto a destra, durante gli scavi della Soprintendenza Archeologica del 1990), sotto il monastero di S. Pietro e recentemente anche al castello.
Almeno nel caso di Largo Europa queste strutture si elevano anche per parecchi metri. Fino a tempi recenti le si è considerate argini del fiume, ma certo la loro imponenza dà da pensare: se non di mura in senso difensivo, si potrà probabilmente parlare di una cinta con valore simbolico e monumentale.
Resta naturalmente il problema di capire se questo recinto monumentale si estendesse anche a racchiudere la parte orientale della città romana, quella all'interno della controansa.
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L'ALTO MEDIOEVO
Con la caduta dell'impero romano d'occidente si apre per Patavium un periodo di progressiva decadenza. Rimane fra i domini dell'impero d'oriente ed è verosimile che in quel periodo, caratterizzato dalle continue incursioni di barbari, qualche forma di difesa militare vera e propria i bizantini l'abbiano apprestata, anche se non se n'è ancora trovata traccia certa.
Poi, intorno alla fine del sesto secolo la città subisce due eventi traumatici, che ne condizioneranno il successivo sviluppo.
Nel 589, secondo la tradizione, viene inondata nel corso di un generale sconvolgimento idrografico della pianura padana: forse è questo il momento in cui il Medoacus/Brenta abbandona il suo corso, o almeno il suo corso inferiore, e viene sostituito, non sappiamo se spontaneamente o per opera dell'uomo, dal Retrone (l’odierno Bacchiglione), che in precedenza doveva lambire la città a sud.
Pochi anni più tardi, nel 602, i Longobardi di Agilulfo la radono al suolo, sempre stando alle scarne notizie storiche. Certo è che il vescovo si sposta a Monselice, chiaro segnale di un'effettiva decadenza della città, che continuerà per almeno altri tre secoli.
Il vescovo ritornerà già a fine 700 con i Franchi ma solo nell'880 verrà nominata Padova in un diploma di Carlo III.
Nell'899 subisce poi una nuova distruzione da parte degli Ungari.
Difficile pensare che per tutto questo periodo Padova sia stata in grado di darsi delle strutture di difesa di qualche rilevanza.
Subito dopo l'incursione degli Ungari però le cose sembrano cambiare e i documenti registrano qualche segnale importante: nel 912 e di nuovo nel 915 re Berengario concede al Vescovo di Padova di costruire castelli ove necessario e nel 950 due diversi documenti fanno riferimento rispettivamente ad uno e a due castelli.
Mentre nel corso dell'XI secolo si riattivano ponti e vie di comunicazione, nel 1031 incontriamo la prima menzione esplicita di un castrum domo, un castello del duomo, evidentemente la residenza fortificata del vescovo.
Poi, nel 1062, la notizia che qui ci interessa di più, perché finalmente si riferisce a qualcosa che possiamo in qualche modo ancora vedere: viene citata per la prima volta la Turlonga.
Per molto tempo se n'è dubitato, ma oggi sappiamo con certezza che quella Turlonga altro non è che la prima "incarnazione" della torre che, attraverso trasformazioni e ripetute ricostruzioni, costituirà il nucleo dell primitivo castello di Padova, intorno al quale si svilupperanno poi quello di Ezzelino e quello carrarese, per ospitare infine nel settecento la Specola che tutti conosciamo.
A successive menzioni della Turlonga, nel 1070 e nel 1102, seguono le prime notizie di spaldi, opere difensive verosimilmente in terra, forse irrobustite da palizzate in legno. il primo a venir nominato è presso le Turreselle.
Impossibile determinare con esattezza struttura e posizione di queste opere, anche se è logico supporre che le successive mura comunali ne seguano il tracciato.
Il terremoto del 1117 non interrompe la realizzazione di opere civili e religiose, anzi la accelera, con una rapida ricostruzione delle opere distrutte o danneggiate dal sisma. La città comincia ad espandersi oltre l'insula delimitata dalla prima ansa, nella quale si era forse ritirata durante il periodo più oscuro della sua storia.
Si incontrano i primi riferimenti a veri e propri muri di difesa, anche se non sembrano ancora essere organizzati in un sistema organico. Bisogna peraltro sempre ricordare che Padova era attraversata, già allora, da una rete di corsi d'acqua, grandi e piccoli, alcuni dei quali provvedevano già una minima difesa e si rinforzavano invece probabilmente con terrapieni o muri i punti più deboli e delicati e gli edifici più importanti.
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LE MURA COMUNALI
Nel 1195, quando ormai la città è un solido e orgoglioso comune, anche relativamente potente e riconosciuto nella pace di Costanza, "fo comenzà i muri della zità de Padoa de fuora", come recita la redazione in volgare degli Annales Patavini. Il Liber Regiminum Padue aggiunge che la costruzione iniziò da ponte S. Leonardo ed era ormai conclusa nel 1210.
Sono queste le mura comunali, quelle che cingono l'insula, e che, giunte agli inizi del nostro secolo ancora ben visibili per buona parte del loro perimetro, successivi e sempre più distruttivi interventi edilizi e urbanistici hanno in gran parte cancellato, anche se ne rimane abbastanza da renderne ancora leggibili struttura e percorso (a destra le mura comunali evidenziate sulla pianta del Valle).
Che aspetto avevano le mura comunali di Padova? Due immagini, che risalgono però al secolo successivo, ci possono un po' aiutare.
Nell’affresco di Giusto de’ Menabuoi nella cappella del Beato Luca al Santo (sotto a sinistra), come nel modellino scolpito che fa parte del monumento funebre di Ubertino da Carrara, oggi agli Eremitani (sotto a destra), vediamo un muro merlato, che sappiamo essere stato alto circa 12 metri e spesso all'incirca tre, intervallato da una serie di torri, in molte delle quali si aprono delle porte.
Nè più né meno l'aspetto che hanno ancor oggi città murate come Cittadella o Montagnana.
A questo primo circuito di mura appartengono le porte Molino, o dei Molini (sotto a sinistra in una foto della prima metà del Novecento) e Altinate, due delle quattro porte principali, o regales come le definisce Giovanni Da Nono, che nella prima metà del Trecento, nella sua VIsio Egidii regis Patavie, fa un'accurata descrizione della città di Padova come appariva nel duecento. Sono quelle che si aprono sulle vie principali di traffico. Le altre due erano quella delle Torricelle, aperta in direzione del Prato della Valle all’interno del ponte omonimo, e di S. Giovanni, che dava appunto sul ponte di S. Giovanni delle navi, con il suo porto. C’era in realtà una quinta porta con le caratteristiche delle quattro regales. E c'è ancora, anche se nascosta e ancora poco nota. Ci torneremo fra poco.
Queste le porte principali. Ma una caratteristica delle mura medievali (e vale quindi anche per quelle carraresi) era il gran numero di porte, grandi e piccole (portelletti), che si aprivano al termine praticamente di ogni strada che le mura si trovassero ad intersecare.
Il Da Nono ne elenca altre quindici, nominandole una per una. Le vedute ne riportano un numero variabile, ma sempre inferiore, anche perché le caratteristiche stesse delle vedute prospettiche non permettono comunque di mostrarle tutte.
Quando nel 1237 Ezzelino III da Romano si impossessa della città e dà inizio poco più tardi alla costruzione del suo castello, i lati est e nord della sua cinta si agganciano alle mura comunali, chiudendo, o meglio riducendo di dimensione e trasformandola in semplice porta del castello una grande porta urbica, con arco in pietra del tutto simile a quelli delle porte dei Molini e Altinate, che si apriva sul lato ovest subito a ridosso della Torlonga. Il Da Nono elenca la porta del Castello fra quelle minori, segno che già al suo tempo se ne era perso il ricordo come porta cittadina, essendo rimasta in servizio neanche una trentina d'anni. Successivamente inglobata e nascosta all’interno della più complessa struttura dell’ingresso di sud-ovest di epoca carrarese, è stata recentemente riportata in luce (sotto a destra, con accanto l'esterno della torretta in cui è "nascosta").
Le mura comunali, a loro volta, terminano non a ridosso della Torlonga, ma si appoggiano, da entrambi i lati con un leggero angolo, ad un piccolo recinto che la circonda verso l'interno, segno che già prima della costruzione delle mura comunali, esisteva un vero e proprio castello attorno alla Torlonga, anche se piccolo: è verosimilmente l'altro dei due castri (con quello del duomo), che abbiamo visto più volte citati dai documenti.
(a sinistra un tratto di mura comunali discretamente conservato, in riviera A. Mussato - a destra un tratto oggi scomparso, come anche il ponte della Stua in primo piano)
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IL CASTELLO DALLE ORIGINI A EZZELINO
Pur con ampi margini di incertezza, le fasi costruttive del castello di Padova sono ormai sufficientemente delineate.
Innanzitutto sorge in un punto che già in precedenza ha costituito un punto forte, anche perché qui si dirama il fiumesello (inizialmente forse un taglio dell'ansa, non sappiamo se naturale o artificiale, nè quanto antico, che più tardi, quando il corso del fiume viene invertito nel tratto da torricelle alle porte contarine diventerà naviglio interno, secondo la definizione moderna): gli scavi archeologici recenti, anche se limitati in estensione, hanno permesso di individuare fondazioni romane in pietre squadrate di grandi dimensioni, in tutto simili alle mura trovate in largo Europa e altrove, e un altro tratto di muro di un certo spessore fa pensare a opere altomedievali certo più importanti di semplici abitazioni.
Come detto, la prima notizia certa dell'esistenza di una torre, la Turlonga, è del 1062, e gli esperti confermano che la struttura dell'attuale torre della Specola, nella sua prima fase, risale almeno all'XI secolo, il ché conferma l'identità fra le due. Quando esattamente sia stata poi circondata dal piccolo, ma ben munito ridotto (in verde nella piantina di Stefano Tuzzato, più volte pubblicata, p.e. nel catalogo della mostra "Ezzelini"), non è possibile per il momento stabilire, ma visto che già in precedenza si parla di "due castelli" è verosimile che anch'esso risalga all'XI secolo o poco più tardi. L'intervento di Ezzelino, per il quale si parla di un castello con due possenti torri (le Zilie), e così esteso da inglobare la antica chiesa di S. Tommaso (che verrà ricostruita all'esterno), dà probabilmente al castello la sua fisionomia già definitiva, almeno per quanto riguarda il perimetro. Le due torri sarebbero dunque la vecchia Torlonga, opportunamente ricostruita e rinforzata, e quella che dà su piazza castello, oggi molto abbassata, ma ancora perfettamente riconoscibile.
L'altro elemento sicuramente ezzeliniano finora confermato è la porta ricavata all'interno di quella urbica di cui si è detto, della quale sono stati ritrovati i fori dei cardini (nella foto a destra è quello più interno rispetto al montante dell'arco).
Quando Francesco il Vecchio da Carrara, nel 1374, darà inizio alla "costruzione" del nuovo castello, in realtà ricostruirà e aggiornerà il castello di Ezzelino, trasformandolo da semplice struttura militare a seconda reggia, come i recenti nuovi ritrovamenti di affreschi hanno definitivamente confermato (vedi sotto Il castello carrarese).
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LE MURA INTERMEDIE
Abbiamo già detto che al momento delle loro costruzione le mura comunali delimitano e difendono soltanto la parte più popolosa della città, quella in cui sorgono tutti gli edifici comunali, il complesso delle piazze, già allora il vero cuore della città, e la cittadella episcopale, con il duomo e il suo castrum. Ma la città si estendeva già oltre, soprattutto verso est, come del resto era stato in antico, e verso sud. Logico che prima o poi si dovesse provvedere alla difesa anche di quelle parti della città, in particolare della cittadella antoniana, che giusto in quegli anni si andava consolidando.
Già in epoca ezzeliniana si ha notizia d una seconda linea di difesa a sud, lungo il canale delle Acquette e a Pontecorvo.
Cacciato Ezzelino, temendo il suo ritorno, sul fronte occidentale, trecento passi all'esterno delle mura viene scavato un fossato e costruito uno spalto con palizzate e torri di legno. Pochi anni dopo lo spalto viene sostituito da un muro, stabilendo probabilmente il tracciato che verrà poi confermato, in quel settore, dalle mura carraresi e più tardi da quelle veneziane.
Le opere si susseguiranno senza soluzione di continuità per tutto il secolo e buona parte del successivo, senza un progetto unitario, semplicemente racchiudendo successivamente ulteriori parti della città, a mano a mano che ne cresceva l'importanza, sia dal punto di vista del numero dei residenti, sia da quello della rilevanza economica o religiosa.
Di fatto un primo ampliamento ingloberà entro vere e proprie mura una fascia a sud, fra le mura comunali e il canale delle Acquette, e la zona est, grosso modo quella che in antico occupava la controansa del Meduacus.
LE MURA CARRARESI
Seguirà, già in epoca carrarese, il definitivo inglobamento della fascia a ovest, che già abbiamo visto fortificata, e del settore a nord, fino al convento di S. Giovanni di Verdara e a Coalonga, che a quanto si capisce dopo i recenti scavi nei pressi della Rotonda, comprendeva almeno parte del Borgomagno, spingendosi più a nord rispetto alla cortina veneziana, dove doveva sorgere la Chiesa delle Trinità.
Si completa così quella che verrà poi definita seconda cerchia (sopra a destra, evidenziata in ocra nella veduta del Dotto di "Padova circondata dalle muraglie vecchie", attorno al nucleo comunale in rosso mattone).
I Carraresi, nel corso del Trecento, realizzeranno poi, o completeranno, la cinta più esterna, inglobando tutta l'area a sud fino a S. Croce e a S. Giustina con il Prato della Valle e infine il borgo di Ognissanti a est (sopra a destra, nella veduta del Dotto, le parti in giallo).
Di tutte queste cortine ben poco rimane: sostituita dalla cinta veneziana quella più esterna, demolite nel corso del tempo le cortine interne, ne rimangono pochi lacerti, in buona parte neppure visibili.
Molta attenzione viene dedicata a tutta l'area, strategicamente essenziale, intorno al castello (qui sotto, evidenziata in rilievo sulla pianta del Valle).
A sud sorge la prima Cittadella (più tardi definita vecchia), da cui si diparte il soccorso, un lungo corridoio protetto che conduce fino alla torre della catena o del soccorso (sotto a destra), ancor oggi esistente, che permetteva il controllo della navigazione sul Bacchiglione.
Col crescere delle esigenze belliche una seconda cittadella, detta nuova, verrà poi realizzata a ovest del castello, sulla sponda opposta del Bacchiglione.
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IL CASTELLO CARRARESE
Infine nel 1374 Francesco il Vecchio pone mano alla costruzione, dicono le cronache, ma oggi diremmo alla ristrutturazione, del castello stesso: non tanto, o comunque non solo, dal punto di vista militare, quanto piuttosto per trasformarlo, o almeno trasformarne una parte importante, in una vera e propria reggia, come la recente scoperta di sale riccamente affrescate testimonia (sotto a sinistra). Dell'aspetto esterno quale doveva essere in epoca carrarese abbiamo una vivida immagine, assai fedele in tutti i dettagli visibili, nell'affresco di Giusto de' Menabuoi nella cappella del Beato Luca Belludi al Santo (sotto a destra).
In realtà, anche se le fonti non ci danno notizie particolari in proposito, non è pensabile che già i suoi predecessori non avessero ben curato il castello almeno dal punto di vista militare. Tanto più che la costruzione del traghetto, il percorso sopraelevato che in caso di pericolo permetteva di raggiungere il castello dalla reggia propriamente detta, sorta a partire dalla signoria di Ubertino al centro della città, precede di parecchio i lavori di Francesco il Vecchio e conferma un uso continuo del castello.
In ogni caso, l'aspetto che il castello assume con i lavori di Francesco il Vecchio è quello che conserverà praticamente immutato, sebbene in parziale abbandono, fino alla trasformazione della Torlonga e delle adiacenze in sede della Specola nel 1767 e del resto della struttura in carcere quarant'anni più tardi. Due famose immagini di Marino Urbani, disegnate attorno al 1800 lo testimoniano (qui sotto). Quanto ancor oggi vediamo di originale, che non risalga cioè alle modifiche sette-ottocentesche, che ne hanno profondamente alterato l'aspetto tanto da cancellarlo dalla memoria dei padovani, appartiene quasi esclusivamente alla fase carrarese. (Nelle immagini più sotto, la pianta del castello a fine 800, dal volume di Giuseppe Lorenzoni sul Castello, e una veduta aerea subito dopo la dismissione del carcere).
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I VENEZIANI E L'ASSEDIO del 1509
Nel 1405 la Serenissima pone fine, nel modo cruento che sappiamo, alla dominazione e, fisicamente, alla stessa dinastia carrarese. Sotto il nuovo dominio i lavori sulle difese cittadine si limitano alla manutenzione, sia per quanto riguarda il castello che le mura, almeno stando alle fonti.
Fra quattro e cinquecento però progrediscono rapidamente le armi da fuoco, rivoluzionando sia le tecniche di offesa che quelle di difesa. Forse i veneziani avrebbero fatto bene a prendere qualche provvedimento in proposito già in tempo di pace...
Sta di fatto che, dopo la terribile sconfitta di Agnadello da parte delle truppe francesi della Lega di Cambrai, e il successivo sbandamento di quelle veneziane, che mette a rischio la stessa sopravvivenza della Serenissima, all'arrivo dell'esercito di Massimiliano D'Asburgo che nel settembre 1509 cingerà d'assedio Padova, la città si presenta ancora sostanzialmente con le sue mura trecentesche carraresi, del tutto inadatte a sostenere la forza d'urto delle nuove artiglierie.
E' importante mettere bene in chiaro che non sono le mura veneziane che vediamo oggi quelle che difendono Padova durante l'assedio. Sono quelle carraresi, aggiornate, diciamo così, in fretta e furia, nei due mesi fra luglio e settembre, per renderle quanto più possibile adatte alla bisogna: vengono drasticamente abbassate, perché l'altezza costituisce ormai più un pericolo che un vantaggio, in quanto una cannonata può farle crollare addosso ai difensori e d'altra parte possono essere facilmente scavalcate dai tiri dell'artiglieria. Vengono invece rinforzate all'interno con uno spesso terrapieno retto da una palizzata, molto più adatto a smorzare i colpi, e affiancate da fosse e altri terrapieni. Ove possibile si realizzano probabilmente degli approssimativi bastioni di fortuna (è forse il caso di Codalunga). Il tutto sotto la guida del procuratore Andrea Gritti e con la consulenza dell'architetto veronese Frà Giocondo (sotto a sinistra il probabile assetto delle difese di Padova nel 1509).
Il punto debole, dove si concentra infatti l'assedio, sembra essere la Coalonga, che evidentemente, e gli scavi di cui si è fatto cenno sembrano confermarlo, era come un lungo e relativamente stretto cuneo, che si spingeva probabilmente parecchio più verso nord rispetto al bastione attuale e includeva almeno in parte il Borgomagno, e poteva dunque essere attaccato da due lati. Là si concentrano i lavori di irrobustimento più estesi, anche se oggi di difficile lettura, che comprendono anche la costruzione di bastioni all'esterno delle mura carraresi.
Una stampa del Burgkmair (sopra a destra), abitualmente considerata una rappresentazione di fantasia, sembra invece mostrare la situazione reale dell'assedio, vista dall'Arcella verso la città.
Grazie alla strenua difesa delle truppe veneziane, comandate da Niccolò Orsini da Pitigliano, ma guidate sul campo da valenti capitani come Citolo da Perugia e Lattanzio da Bergamo, nonostante numerose brecce vengano aperte nella cortina dal fuoco dell'artiglieria pesante, l'attacco viene infine respinto.
LE MURA RINASCIMENTALI VENEZIANE
Scampato il pericolo, appare chiara la necessità di dotare la città di nuove e più aggiornate difese. I lavori ricominciano già subito dopo l'assedio, ma procedono a intermittenza fino alla definitiva fine delle ostilità, nel 1513, dopodiché proseguono con regolarità, sotto la guida del Capitano Generale Bartolomeo d'Alviano, a partire ovviamente dal bastione di Codalunga, detto familiarmente della Gatta, a ricordo del ben noto episodio durante l'assedio. Solo allora si cominciano a costruire le mura come le vediamo almeno in parte ancora oggi.
Mura che seguiranno grosso modo il circuito delle mura carraresi, ma senza ricalcarlo esattamente, neppure dove fino a poco tempo fa si pensava che così fosse (vedi il recente ritrovamento di un tratto di muro a Porta Savonarola, che corre in direzione diversa, ance se non lontano dalle mura veneziane. Razionalizzandone invece il tracciato, raddrizzandone i tratti sinuosi e in qualche caso spostandole più all'interno, come a Codalunga, in altri più all'esterno, vedi il caso del torrione Alicorno, dove per l'occasione si sposta anche il fiume/canale raddrizzandone il corso (sopra, sulla pianta del Valle è disegnato il tracciato, in parte noto, in parte presunto delle mura medievali).
E, poiché quando si iniziano a costruire si è ancora in una fase di transizione e i criteri di progettazione delle mura non si sono ancora del tutto adattati alle nuove esigenze e si procede per approssimazioni successive alla soluzione ideale, Padova costituisce una sorta di palinsesto delle varie soluzioni che anche a distanza di pochi anni si avvicendano.
Così i primi bastioni sono rotondi, propriamente dei torrioni, perché quella sembra la forma che meglio si presta a sviare i colpi dell'artiglieria, che risultano efficaci solo quando incidono ortogonalmente sulla muraglia. E' il caso del Bastione di Codalunga, il primo costruito, e poi di quelli dell'Impossibile (o dei Crociferi) (sotto, a sinistra nella pianta del Valle), dell'Arena, dell'Alicorno, di S. Giustina (sotto a destra) e di Pontecorvo, dei due gemelli Venier, o del Portello Nuovo, e Buovo, o del Portello Vecchio, della Saracinesca, oltre ai due più piccoli, della Ghirlanda e piccolo, come è chiamato semplicemente quello lungo l'odierna via Loredan.
Ben presto ci si rende però conto che la forma rotonda presenta il grosso problema del cosiddetto angolo morto.
Si passa quindi a una forma poligonale, leggermente più debole in quanto i suoi lati sono rettilinei, ma che meglio consente di impedire al nemico di avvicinarsi (sotto a sinistra).
Di questo tipo sono i bastioni del settore ovest, realizzati negli anni venti del ‘500, Savonarola, S. Giovanni e S. Prosdocimo. Cui seguono i baluardi di nord ovest, Moro I e II, realizzati nel 1531-32, nei quali le piazze basse, forse su un solo livello, sono probabilmente già a cielo aperto (sopra a sinistra, nella pianta del Valle).
Si sta infatti manifestando in quegli anni il grave problema dello scarico dei fumi, che viene finalmente risolto negli ultimi due baluardi costruiti, Cornaro e S. Croce (sotto a destra), progettati da Giangirolamo e Michele Sanmicheli e realizzati rispettivamente nel 1540 e nel 1547, costruiti a ridosso delle cortine già esistenti, che hanno sia le piazzebasse che quelle alte a cielo aperto.
Manca soltanto, nel catalogo dei bastioni padovani il modello finale, che si vede a Ferrara, che prevede i cosiddetti orecchioni, con le cannoniere ben incassate sui fianchi, a ridosso delle cortine.
Le porte vengono drasticamente ridotte di numero: sono ora solo sette, due delle quali saranno demolite: Saracinesca, a fine Ottocento (sotto a sinistra), e Codalunga negli anni venti del Novecento; più una porta d'acqua di cui diremo.
E non sono più allineate con le strade, neppure con quelle principali, per rendere più difficoltoso l'ingresso delle truppe nemiche nel caso riuscissero a sfondarne una.
Ma più ancora che le opere in muratura, quelle che in buona parte vediamo ancora oggi, sono le opere sul terreno, all'interno e soprattutto all'esterno della cinta, che differenziano decisamente le mura cinquecentesche da quelle medievali: per un miglio tutto attorno alla città vengono demoliti tutti gli edifici, non importa quanto antichi o importanti, ivi compresi il lazzaretto, la certosa e altri monasteri e chiese, nonché gli alberi ad alto fusto. E' il guasto, già in buona parte realizzato nei due mesi di preparazione all'assedio del 1509, ma che ora viene completato scientificamente. Le mura vengono circondate, nei lati dove già non scorrono il fiume o i canali, da una canaletta e da una vasta fossa (non quella che chiamiamo oggi fossa bastioni!), allagabile in caso di assedio e, all'esterno di questa da una via coperta, da un vallo e via dicendo (sopra a destra Porta Pontecorvo in una stampa di fine 800, in cui la fossa appare ancora conservata). Opere simili vengono predisposte anche sul lato interno delle mura.
Di tutte queste opere, che nell'insieme, con la muraglia vera e propria, costituivano il sistema delle mura, oggi non resta quasi nulla, giusto la canaletta di cui sopra e un accenno di fossa in alcuni tratti ad est, per esempio all’esterno del bastione Cornaro.
Resta da dire del Castelnuovo: quello che è oggi chiamato bastione Castelnuovo non è che un abbozzo, o solo il nucleo centrale, di quello che doveva diventare il nuovo castello di Padova, di cui rimangono pochi disegni di progetto, che non permettono neppure di capire se e quale soluzione fosse stata scelta (sotto a sinistra un disegno attribuito al Sanmicheli). Il fatto è che nel momento in cui si dovrebbe passare alla sua realizzazione, Padova non è più città di importanza strategica: i confini della Serenissima si sono spostati più a ovest, a Verona e oltre, ed è lo stesso Sanmicheli, allora responsabile delle strutture di difesa, a sconsigliare di spendere ulteriori denari per fortificare una città strategicamente poco rilevante. Il progetto viene così abbandonato, come pure, a quanto pare, la bella porta d'acqua che si apre nella sua circonferenza, che viene quasi subito murata (nella foto sotto a destra).
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LE MURA FRA OTTOCENTO E NOVECENTO
A metà Cinquecento le mura hanno ormai assunto l'aspetto con il quale giungeranno praticamente intatte a fine ottocento: oltre 11 km di sviluppo, con 19 bastioni e 7 porte, più la porta d'acqua. Intatte salvo i danni provocati di proposito dai francesi nel 1801, quando apprestandosi ad abbandonare la città dopo la firma del trattato di Lunéville, minano i bastioni principali sul lato ovest (Impossibile, S. Giovanni, etc) per renderli inservibili.
Le cortine saranno poi ripristinate con un muro sottile dagli austriaci: non per uso militare ma per chiudere la cinta daziaria, che coinciderà, fino a novecento inoltrato, con il perimetro delle mura (nella foto sotto, il muro fra torrione Buovo e Castelnuovo).
A fine ottocento, persa ormai ogni funzione militare, le mura, che nel 1882 vengono vendute dal demanio al Comune di Padova, cominciano a diventare un ostacolo alla libera circolazione e di conseguenza si cominciano ad aprire le prime di una quindicina di brecce (foto sotto a sinistra), nobile opera con risvolti sociali (l’impiego di manovali altrimenti disoccupati) che continuerà fino ai primi del novecento, producendo in qualche caso anche qualche persistente equivoco, come ad esempio chiamare "porta Trento" una barriera daziaria, realizzata là dove una porta non era più esistita da oltre quattro secoli. (Sotto a destra, si apre la breccia di Porta Savonarola)
Due porte, Saracinesca e Codalunga, vengono addirittura abbattute perché di ostacolo alla circolazione dei mezzi.
Sempre fra ottocento e novecento lunghi tratti di mura vengono rasi al suolo per realizzare viali di pubblico passeggio (lungo il Piovego verso il Portello, in via S. Pio X), altri tratti di mura e bastioni ospitano giardini pubblici (bastioni Savonarola, dell'Arena e Codalunga, con ampi tratti di mura adiacenti, come pure accanto al bastione S. Croce). Mentre la fossa, che ancora si manteneva, viene progressivamente riempita prima dai terrapieni delle guidovie, poi dalla strada di circonvallazione rettificata (foto sotto a sinistra, al torrione S. Giustina).
Buona parte dei terrapieni vengono svuotati per usare lo spazio per il tiro a segno (Moro I - Codalunga), o per costruirvi case per i lavoratori da parte di enti assistenziali, banche etc. (foto sopra a destra, il bastione Pontecorvo) o per realizzarvi il nuovo macello, mentre sul bastione della Gatta, già colpito da una bomba nel 1916, con tragiche conseguenze, viene costruito il serbatoio dell'acquedotto (foto sotto a sinistra).
L'episodio più nobile è quello delle scuole all'aperto per i bambini di debole costituzione, opera in cui Padova si mostra decisamente all'avanguardia (sopra a destra, un'aula della scuola Camillo Aita al bastione S. Croce).
Nella stessa linea, ma con conseguenze ben più distruttive, si realizzerà il reparto tubercolosi sul bastione Cornaro (qui sotto il progetto).
Sorte ancor peggiore, sebbene per motivi diversi, e assai meno nobili, subiscono le mura comunali (i tratti intermedi, come le mura carraresi, sono ormai già scomparsi da tempo). Ormai privatizzate, non sono ancora percepite come meritevoli di salvaguardia: sono già state forate in più punti da portoni, finestre e balconi, e spesso ridotte di spessore per ampliare i locali degli edifici addossati all'interno. Nel corso del Novecento ne vengono abbattuti quasi interamente nuovi lunghi tratti a puri fini di edificazione di abitazioni private, come per esempio fra l'odierno Largo Europa a Porta Altinate, o al Ponte delle Torricelle, oppure ancora in Riviera Tito Livio (caso che fu all'origine della nascita del Comitato Mura). Lo scempio continuerà purtroppo fino agli anni settanta.
In entrambe le guerre mondiali bastioni e porte delle mura veneziane vengono utilizzati come rifugi, mentre su alcuni bastioni vengono installate postazioni di artiglieria, alcune delle quali ancora visibili oggi, come al Moro II. L'uso improprio come rifugi antiaerei dei bastioni porterà ad una nuova tragedia nel 1944, quando 200 cittadini perderanno la vita al bastione Impossibile (il quale invece non ne verrà troppo danneggiato). (Sotto a sinistra ingresso al rifugio del bastione Impossibile, a destra Porta Savonarola trasformata in rifugio)
Infine, negli anni sessanta, la costruzione del nuovo monoblocco dell'ospedale civile e delle cliniche dall'altro lato di via Giustiniani spazza via un lungo tratto di mura.
Il resto è storia recente.
Ugo Fadini, 2009, sulla base di una conferenza del settembre 2008
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Le informazioni contenute nel testo sono desunte dalia bibliografia disponibile sull'argomento, a cui si rimanda per i riferimenti bibliografici e archivistici, e in particolare da:
- Le Mura di Padova - percorso storico-architettonico, Giuliana Mazzi, Adriano Verdi e Vittorio Dal Piaz, Il Poligrafo, Padova 2002 per le mura rinascimentali veneziane.
- Le Mura Ritrovate - Fortificazioni di Padova in età comunale e carrarese, a cura di Adriano Verdi, Panda Edizioni, Padova, 1987 e 1989.
- I luoghi dei Carraresi, a cura di Davide Banzato e Francesca D'Arcais, Canova, Treviso 2006 (in particolare i saggi di Adriano Verdi, Stefano Tuzzato e Antonio Draghi), per le mura comunali e carraresi e il castello.
- Nuovi dati sullo sviluppo della forma urbana di Padova fra VI e XVI secolo, Andrea Moneti e Antonio Draghi in Bollettino del Museo Civico di Padova LXXXII, 1993, per gli scavi in viale della Rotonda.
- Padova Romana, a cura di Hilde Hiller e Girolamo Zampieri, Grafiche Turato, Padova, 2002, per la topografia di Patavium romana e i ritrovamenti di opere interpretabili come cita muraria.
- Saggio stratigrafico presso il muro romano di Largo Europa a Padova. Relazione preliminare, a cura di A. Ruta Serafini e C. Balista, in Quaderni di Archeologia del Veneto IX 1993, Regione Veneto e Canova, VE-TV, 1993 (in particolare lo scritto di Stefano Tuzzato), per le mura romane di largo Europa.