BARTOLOMEO D'ALVIANO

a cinquecento anni dalla morte

† 7 ottobre 1515

 


"...il quale, ammalato a Ghedi, in bresciano, minore di sessanta anni, passò ne' primi dí di ottobre, con grandissimo dispiacere de' viniziani, all'altra vita; ma con molto maggiore dispiacere de' suoi soldati, che, non si potendo saziare della memoria sua, tennono il corpo suo venticinque dí nello esercito, conducendolo, quando si camminava, con grandissima pompa. E volendo condurlo a Vinegia,


Padova dal satelliteA Padova le mura cinquecentesche si sono conservate quasi interamente nel loro perimetro, ma il loro stato di conservazione è ben lontano da quello delle cinte bastionate di altre città come Ferrara o Lucca.

Non finite in molte loro parti, mai protagoniste di eventi bellici rilevanti, salvo i minamenti da parte dei francesi nel 1801 e, come si è di recente scoperto, gli apprestamenti per la difesa della città liberata nel 1848, oltre a quelli per le due guerre mondiali, hanno subito piuttosto le ingiurie del tempo, rese più distruttive dalla scarsa manutenzione, anzi dal progressivo abbandono in cui furono lasciate già da epoca di poco successiva alla loro costruzione, conseguenza della rapida perdita di rilevanza strategica della città. Più tardi, in particolare a cavallo fra Otto e Novecento, dopo il loro acquisto dal demanio da parte del Comune (1882), subiranno interventi di "riuso" che, pur realizzati nel pubblico interesse, risulteranno spesso distruttivi.

Il loro stato attuale, che presenta condizioni di conservazione estremamente diversificate, con estese presenze edilizie accanto, sopra e all'interno dei manufatti, ne rende ancor più problematiche la conservazione, la valorizzazione e l'eventuale riuso.

Riassumiamo qui in breve lo stato di conservazione della cerchia nel suo complesso, perché si possano meglio cogliere, se pur in termini molto generali, gli aspetti del problema, rimandando per maggiori approfondimenti alle pagine descrittive dei singoli manufatti (Le porte e I Bastioni), allo Studio sul Sistema Bastionato del 1986, pure disponibile su questo sito, e ai volumi Le Mura di Padova di G. Mazzi, A. Verdi e V. Dal Piaz e Il Castelnuovo di Padova, la fortezza mancata, a  cura di U. Fadini per il Comitato Mura.

Le misurazioni riportate provengono da uno studio sulla consistenza della cerchia curato nel 1983 da Vittorio Dal Piaz e Adriano Verdi.

Per farsi un'idea sommaria della consistenza e dello stato delle mura veneziane consigliamo anche la visione del videotour "Le mura di Padova - Il monumento invisibile".

(NOTA AL TESTO: l'icona  apre un'immagine esemplificativa, i link nel testo rimandano alle pagine di approfondimento sui singoli manufatti citati)



Cortine

brecce- le mura si conservano quasi integralmente nel loro sviluppo di 11.030 metri, dei quali m 7.815 costituiti da cortine, 2.216 da torrioni e baluardi e 136 da porte, mentre assommano a m 863 le brecce aperte per favorire la viabilità, le più estese delle quali sono quelle di Porciglia, di corso del Popolo, di viale Codalunga - via Giotto, di Ognissanti e di piazzale Santa Croce, cui va aggiunto il lungo tratto quasi completamente abbattuto per far posto agli edifici dell'Ospedale Civile.

- le cortine presentano consistenza e stato di conservazione molto diversi, con 5.418 metri prevalentemente integri, m 4.518 parzialmente conservati (in genere fino al cordone), mentre m 1.094 sono rasi al suolo e praticamente invisibili.

- lunghi tratti sono stati rasi al suolo per farvi correre sopra strade (via Giotto) o viali per il pubblico passeggio (via Loredan) o per costruirvi edifici pubblici (il Macello di via Cornaro) o privati (fra piazzale Santa Croce e la porta omonima) e sono visibili a pezzi solo dall’esterno. In altri tratti ne è stata notevolmente ridotta l'altezza, sempre per permettere la realizzazione di passeggiate (via San Pio X) o edilizia privata (fra i bastioni San Giovanni e Saracinesca).

- numerosi altri segmenti, nei quali il muro esterno si è conservato per una certa altezza, si presentano però privi del terrapieno interno (quasi tutto il fronte nord-occidentale), eliminato per poter costruire nello spazio ricavato case per lavoratori, o per farvi correre  strade (via Orsini, via Raggio di Sole). In altri tratti abbiamo una combinazione delle diverse situazioni (fronte orientale).

- il coronamento, anche nelle parti meglio conservate, è quasi sempre privo del parapetto (ammesso che fosse stato dovunque realizzato, fatto che rimane dubbio), salvo il caso di pochi bastioni, come il Saracinesca , dove è stato in parte restaurato, e quello del del tratto di muro rettilineo fra i torrioni Buovo e Castelnuovo, nel quale le fuciliere esistono ma sono state tamponate , forse già poco dopo la costruzione.

- in definitiva solo pochi brani hanno conservato una conformazione almeno vicina a quella originaria, con il muro alto almeno fin sotto il parapetto e con il terrapieno all'interno: fra torrione Alicorno e piazzale Santa Croce , fra baluardo Santa Croce e breccia di via d'Acquapendente . Per un'altezza inferiore, anche lungo l'attuale via San Pio X.

- per lunghi tratti, specialmente lungo il fronte occidentale, la cortina ha perso l'incamiciatura esterna, presentandosi dunque sbrecciata e facile preda della vegetazione.

Porte

- due sole porte di terra sono andate perdute delle sette originarie, Saracinesca e Codalunga. Quelle rimaste sono in buono stato e hanno goduto di cure abbastanza costanti. Un'ottava porta, quella d'acqua del Castelnuovo, sul canale Piovego, è sostanzialmente nello stato in cui fu lasciata al momento della sua chiusura, seguita di poco alla realizzazione del bastione.

- i ponti in muratura settecenteschi esistono ancora e sono in gran parte visibili davanti alle porte Savonarola , San Giovanni, Santa Croce e Ognissanti, si conserva sotto la pavimentazione stradale quello di porta Liviana (Pontecorvo), e probabilmente anche quelli di porta Codalunga e di porta Saracinesca, del quale rimane sicuramente almeno la prima arcata, visibile sotto il parapetto del canale.

- i ponti levatoi sono stati tutti rimossi, con le relative attrezzature (nel 1928 era stato ricostruito quello di porta Savonarola , in seguito nuovamente eliminato).

Bastioni

- tutti i bastioni (quindici torrioni e quattro baluardi) ci sono pervenuti, ma in condizioni molto diverse da caso a caso; presentano quindi problematiche di conservazione assai diversificate.

- alcuni, che appaiono abbastanza integri all'esterno, sono stati fortemente manomessi al loro interno, solo parzialmente (Venier e di recente purtroppo anche Santa Giustina ), oppure quasi completamente (Cornaro, Ghirlanda), mentre per altri lo stato effettivo di conservazione delle strutture interne attende ancora di essere chiarito (Gatta, Saracinesca).

- uno, in pessimo stato all'esterno, conserva abbastanza integre le strutture interne (Impossibile).

- altri ancora risultano piuttosto compromessi sia all'esterno che all'interno (San Giovanni, Savonarola), pur essendo in alcuni ancora leggibili e in parte recuperabili le strutture interne (Moro I e II, San Prosdocimo, Pontecorvo).

- pochi si possono definire sufficientemente conservati sia dentro che fuori, anche se nessuno in maniera integrale: Santa Croce, Buovo, Piccolo, Arena (come si è di recente confermato), Alicorno (il recente crollo ha interessato una parte già ricostruita almeno due volte), Castelnuovo (tenendo presente per quest'ultimo la sua originaria incompletezza).

- i bastioni del fronte occidentale (dai due Mori al San Giovanni) sono quelli che si presentano all'esterno in condizioni peggiori: hanno subito i danni dei minamenti messi in atto dai francesi in ripiegamento dopo gli accordi del 1801 e sono ormai quasi completamente privi del paramento esterno (come del resto le cortine che li collegano) e con notevoli lacune dovute all'esplosione delle mine, la più rilevante delle quali interessa l'Impossibile.

- su alcuni bastioni sono sorti edifici (Cornaro, Venier, Gatta, San Giovanni) o monumenti (Ghirlanda) o si sono ricavati giardini pubblici (Arena), che hanno compromesso le strutture interne, mentre in altri casi gli edifici non hanno arrecato particolari danni (Impossibile, Santa Croce), o molto limitati (Buovo).

- sui tratti più compromessi di cortine e bastioni, gli austriaci eressero dei muri in cotto per ricreare la continuità della cinta daziaria; ne sopravvivono molti brani, soprattutto sui bastioni del fronte ovest e sul tratto fra Buovo e Castelnuovo, spesso erroneamente interpretati come paraschegge eretti nelle due guerre mondiali. Alcune di queste opere potrebbero d'altra parte risalire ai preparativi di difesa approntati dal governo provvisorio della città durante i moti del 1848, in vista di un attacco austriaco, dei quali si sono di recente scoperte le testimonianze.

Altri manufatti

- oltre ai diciannove bastioni si conserva, quasi invisibile sotto la vegetazione, anche il piccolo bastione della Catena, isolato e di forma quadrata, dal quale veniva tesa verso la porta Saracinesca la catena che interrompeva il passaggio dei natanti.

- a barriera Trento rimangono pochi resti di un cavaliere, ben visibile nelle piante antiche, come in quella del Valle.


Opere esterne

- quasi del tutto scomparse le opere in terra che, soprattutto all'esterno, accompagnavano la cortina muraria con una fascia di parecchie decine di metri comprendente canaletta, fossa allagabile, controscarpa, strada coperta e via dicendo. Solo nel tratto all'esterno del baluardo Cornaro e fino al ponte delle Grade di San Massimo si conserva buona parte della fossa allagabile, a un livello e per una larghezza prossimi a quelli originari.

- la circonvallazione moderna segue in parte il percorso della strada coperta, ma le curve attorno ai bastioni sono state quasi sempre rettificate, lasciando però all'esterno il "relitto" del vecchio percorso (all'esterno dei bastioni: Savonarola, Impossibile, Santa Croce, Santa Giustina, Pontecorvo ).

Mura e acque

- i corsi d'acqua erano un tempo parte integrante del sistema bastionato. Oggi tale rapporto è ancora abbastanza comprensibile soltanto nei tratti lambiti dai canali navigabili, il Tronco Maestro del Bacchiglione e il Piovego. Peraltro lungo di essi si sono formate nel tempo aree golenali, in qualche caso anche molto vaste, come quella detta di San Massimo , o quella su cui è sorto il macello jappelliano (ora Istituto d'Arte P. Selvatico) o ancora quelle, oggi adibite a campo giochi per bambini, accanto al torrione dell'Arena e lungo via San Pio X. Tali aree, oggi utili e apprezzate, non erano ovviamente previste nel progetto delle mura.

- il canale Alicorno, che un tempo lambiva le mura dal torrione omonimo al baluardo Santa Croce, arrriva oggi solo fino a piazzale Santa Croce e prosegue tombinato.

- la canaletta che costeggiava gli altri tratti di mura rimane soltanto nel settore nord occidentale, con funzione di collettore di acque reflue.

- delle strutture che permettevano l'ingresso e l'uscita dei corsi d'acqua che attraversavano la città, e che costituivano parte integrante della mura, rimangono il ponte delle Grade di San Massimo , in discrete condizioni, pur modificato successivamente con il rialzamento dell'arcata centrale, le porte Contarine, anch'esse largamente modificate in epoca successiva, e il ponte di via Giotto, oggi quasi irriconoscibile, ma dotato anch'esso, un tempo, di grade, ovvero grate scorrevoli che ne chiudevano il passaggio. Scomparsi, con i tratti di mura relativi, i due passaggi sul canale di Santa Sofia (attuali vie Morgagni e Falloppio)

Leoni marciani

- tutti i leoni di San Marco un tempo presenti su ogni porta e su numerosi bastioni furono abbattuti dai francesi all'epoca della caduta della Serenissima. Di alcuni si sono in seguito ritrovati nel fossato antistante frammenti più o meno consistenti.

- si conservano quindi parti dei leoni del bastione Santa Croce (depositati all'interno ), del torrione dell'Arena e della porta del Castelnuovo (ricollocati), di porta Santa Croce (al museo civico) e un piccolo frammento in loco sul bastione Cornaro . Quello del bastione Venier, il primo ritrovato, a metà Ottocento, fu acquistato dalle Assicurazioni Generali, ricomposto, integrato nelle parti mancanti e collocato sulla facciata della sede romana della società, palazzo Venezia . Nel 2003 ne è stata collocata una copia nel giardino Fistomba, accanto al bastione .

- il leone di porta Savonarola è opera moderna, realizzata in occasione dei restauri del 1928.

Su buona parte del perimetro delle mura si sono succeduti negli anni vari interventi di restauro, non sempre attuati con criteri omogenei, col risultato di accentuare le differenze già notevoli nell'aspetto di cortine e bastioni. Per un elenco degli interventi e ulteriori notizie vi rimandiamo all'apposita voce nel menu Conservazione e restauro.

Ugo Fadini - 2/2011

 

da "Padova e la sua provincia", anno XXIV, Luglio 1978

 

Il pubblico Macello

nell'area di San Massimo

 

Il vecchio Macello di Padova, che sostituì quello ottocentesco di Giuseppe Jappelli e che rimase in funzione fino alla fine del 1975, non trova spazio, neppur modesto, nelle numerose opere di storia dell'urbanistica cittadina: ben più fortunata attenzione per il Foro Boario, se non altro per la sua localizzazione in Prato della Valle, sul lato sud della piazza.
Il reperimento di una scarna, ma essenziale, documentazione, ci permette di dare il giusto risalto ad un’opera architettonica che sembra però avviarsi, per l'attuale stato di degrado e di abbandono, ad una fine immeritata (1).
Una datazione di massima desunta dalla cartografia (2), confortata dalla analisi del complesso dai vari punti di vista - tipologico, strutturale e uso dei materiali che, a più voci, collocava il macello nella Padova inizio del secolo, con le grandi iniziative urbane promosse dall'Amministrazione comunale sorretta dai voti dei partiti popolari, quali il cavalcavia, il rettifilo per la stazione, il ponte sul Piovego, viene confermata dai dati ora acquisiti (3).

Il progetto viene redatto nel 1904 dall'architetto Alessandro Peretti (4), ingegnere capo dell'Ufficio dei lavori Pubblici, contemporaneamente quindi alle operazioni prima citate, ma prima della costruzione del Foro Boario. I lavori vengono appaltati dalla impresa Enrico Levi e C. di Firenze e posti in esecuzione dal 1906 al 1907, l'inaugurazione avviene nel settembre dell'anno successivo e i costi complessivi ammontano a 430.000 lire. Il dimensionamento del complesso fa riferimento agli 80.000 abitanti del comune, la scelta localizzativa non risponde a pieno a tutti i criteri della tecnica urbanistica dell'epoca, quali la collocazione del manufatto in periferia e a valle del centro abitato, prossimo alla strada pubblica, alla ferrovia e al mercato del bestiame, con buone possibilità di approvvigionamento d'acqua e di smaltimento dei rifiuti, con la presenza di aree per possibilità di ampliamenti. Si ritiene, in prima analisi, che la disponibilità, almeno parziale, dell'area (ricordiamo la posizione a ridosso delle mura, quindi non ancora urbanizzata, facilmente acquisibile, se non già acquisita, dalla Amministrazione) e la situazione idraulica favorevole, dato che il ponte delle gradelle di S. Massimo è il punto più a valle di uscita delle acque interne di Padova, siano i due fattori principali.

Il complesso del Macello, che occupa una superficie attorno ai 17.000 mq, è compreso fra il canale di S. Massimo a nord, la cinta muraria ad est e sud e via Alvise Cornaro a ovest: esisteva però, con il medesimo toponimo, una strada perpendicolare al fronte dell'edificio - il collegamento con la circonvallazione è successivo (5) - diretta a piazzale Pontecorvo, a ridosso delle mura. Un serbatoio per l'acqua è situato sul bastione Buovo, con una capienza di 300 mc: la sua posizione in quota permette cacciate d'acqua alle canalizzazioni di scarico.
La tipologia dell'impianto fa specifico riferimento al "sistema tedesco”, con l'adozione di una unica grande sala di abbattimento e taglio, e si rifà al macello di Offenbach (1904) ove - come precisato nel Manuale dell'Architetto del Donghi - sono applicate per la prima volta le monorotaie aeree per il trasporto degli animali squartati alle celle frigorifere o alle sale di carico e vendita, che vedremo usate anche dal Peretti (6). L'ingresso, sul fronte ovest, è costituito da una tettoia, adibita alla prima visita del bestiame, che unisce due corpi di fabbrica: a destra l'abitazione del direttore, gli uffici, la pesa, a sinistra l'abitazione del custode e i locali per le guardie daziarie e di città.

La grande sala di macellazione bovini, entrando sulla destra, che misura m. 48x25, è illuminata da finestroni e da un lucernario per tutta la lunghezza della copertura; la disposizione planimetrica adottata, scandita dalla presenza di 28 pilastri, consente anche la organizzazione a celle. Il sollevamento degli animali avviene con "paranchi differenziali fissati a carrelli trasportatori" che scorrono su apposite rotaie solidali all'armatura in ferro del coperto, i quali permettono il trasporto, su ganci scorrevoli, del bestiame squartato nei punti più opportuni. A sinistra l'altro corpo di fabbrica di dimensioni maggiori: in un edificio a T sono collocate le funzioni che necessitano di acqua calda: la lavorazione delle carni panicate, le docce, lo spogliatoio e il refettorio per il personale dell'ala ovest, le tettoie con gli stallotti di sosta per i suini e i relativi locali di macellazione nell'ala nord, la tripperia, con le vasche e i banchi di lavorazione, nell'ala est. Nei pressi di quest'ultima sono situate le due stalle di sosta, quella di dimensione minore per i suini e i "lauti", quella maggiore per i bovini; di fronte ad essa, a destra del viale principale, il macello degli ovini.

Due concimaie, una per lo stallatico, a nord-est del corpo a T, e una a due piani, per lo "svuotamento dei ventricoli", situata lungo le mura, un fabbricato a L per i servizi accessori, lavorazione del sevo e del sangue, salatura e lavorazione delle pelli, una piccola costruzione per le latrine, nei pressi della tripperia, completano il complesso. In posizione appartata, nelle vicinanze del ponte che assume il ruolo di uscita secondaria dell'intero macello, l'edificio per gli animali infetti, con la stalla d'osservazione e l'apposito macchinario, il "digestore Rastelli", atto a distruggere le carni e a recuperare grasso per uso industriale.
Una apposita area è destinata, a sinistra dell'ingresso sul fronte strada, alla costruzione delle celle frigorifere, realizzare poi in seguito. Gli stilemi adottati nel progetto ricordano il "decoro" di altri esempi coevi, il tutto impostato su criteri di dignitosa sobrietà e di funzionalità rigorosa: l'elemento comunque di maggior interesse è costituito dalla sala macello bovini, ove un essenziale, ma sapiente uso delle strutture metalliche qualifica anche esteticamente un complesso che, spenta ormai la sua funzione di “Macchina della morte”, è in ogni caso degno di essere recuperato come preziosa testimonianza di architettura paleo-industriale.

Vanno ricordate inoltre, in un'ottica di riqualificazione dell'area, la presenza, se ce ne fosse ancora bisogno, delle importanti strutture architettoniche presenti nei pressi: il bastione Buovo (o Castelvecchio) con il ponte, il bastione Castelnuovo con la sua “porterucola”, la stessa cinta muraria cinquecentesca, offrono, anche perché già di proprietà comunale, una possibilità di riprogettazione unitaria. Il ponte delle Gradelle merita un accenno ulteriore, per focalizzare il suo valore storico, dato che attraversa - come è emerso da recenti importanti contributi relativi ai problemi della genesi urbana di Padova - l'antico alveo del Brenta, ora canale S. Massimo e Roncaiette (7). Il manufatto, a tre archi, sormontato da una piccola costruzione - ora sede dell'associazione Comitato Mura di Padova - è attualmente oggetto di studio e di operazioni di rilievo e sono state identificate alcune trasformazioni (8): quale primo contributo presentiamo un disegno della prima metà del XVIII secolo che rappresenta lo stato di fatto a quella data (9) e, come documento più significativo tra quelli reperiti, una relazione di Giovanni Poleni relativa alle “Gradelle” (10).

 

Vittorio Dal Piaz


Ill.mo ed Ecc.mo Sig. Capitano e v. Podestà

Quando per Sovrano Comando del Serenissimo Principe si fabbricavano circa l'anno 1520 le grandiose nuove mura di questa Città, fra le Porte di Pontecorvo e del Portello si dovette attraversare il Fiume Bacchiglione con un Ponte di tre Archi, su cui furono, come sul piano, le Mura continuate. Ma il Ponte, fatto perché la Città restasse chiusa, era una Fabbricha, che negli Archi suoi rendeva la Città aperta. Fu dunque di necessità il fornire quegli Archi di Saracinesche di ferro, volgarmente qui chiamate Gradelle. Delle quali gli usi
dovevano essere tre: e furono anche per assai tempo. L'uno era il poterle variamente alzare ed abbassare ne' loro Gargami giusta i vari bisogni; l'altro era, ch'essendo esse tenute basse sino al pelo dell'acqua, serrati così fossero gli Archi; il terzo era, che con tutta la chiusura degli Archi l'acqua scorreva liberamente.
Ma da alquanto tempo al dì d’oggi tutti e tre quegli utili usi sono quasi interamente perduti. Consumatisi essendo molti ferri dalle perpetue corrosioni della ruggine, ed altri essendosi piegati persino ne' loro telari, ed intorti per li sforzi dell'acqua ivi ritenuta da stranie materie, ove ritrova otturarti gli occhi tra ferro e ferro: né possono più desse Gradelle o alzarsi o abbassarsi; e mancano pure i mezzi per farlo, mancando le scale, i cavalletti, e le leve. Ecco la perdita del primo uso, e nel medesimo tempo degli altri due. Perchè le Gradelle se restano alte, si perde la chiusura; se troppo basse ed immerse nell'acqua, il moto di questa da tanti galleggianti ed altre materie, che dalle Gradelle restano trattenute, viene interrotto, ed in parte ancora impedito.
Che sì utile, e nel suo genere grande, opera sia ristaurata e restituita alla forma sua primiera (a risserva che si può scemare un poco l'altezza de' ferri) e sia ridotta in istato di servire a que' fini, per cui fu costrutta provvidamente. sembra da quanto si è scritto sin quà divenire assai chiaro. Ma alle volte anche le cose assai chiare meglio si scorgono se si ponga a profitto il lume, che può essere dalle riflessioni comunicato.
E nel nostro caso ben è da riflettersi a' disordini, che possono nascere quando alcuna Gradella lasci libero spazio tra la sua estremità inferiore e il pelo dell'acqua; come una
lo lasciava, benché l'acqua alta fosse, e lo lascierebbe tutt'ora, se Ecc.za V.ra non avesse voluto, che a forza col battere e ribattere i ferri fosse abbassata. Qualunque volta col molto scemarsi delle acque rimanga libero quel spazio, rimane adito per le picciole barche (ivi non essendo violente le basse acque) e di più essendovi una Marezana, rimane, dico, adito anche pe’ Contrabandi non senza il danno del pubblico patrimonio. Ed i Rei possono un'entrata ed una uscita a loro piacer ritrovarsi.
Se poi le Gradelle non possono alzarsi, e restino immerse nelle acque delle Piene del Fiume, in tal caso i legni vi si fermano, i virgulti vi si avviticgiano e le altre materie
strascinate dalla corrente vi si ammassano: così l'acqua già entrata per le parti superiori nella Città, non potendo per Ie parti inferiori scorrere liberamente, cresce di corpo; e più di
quel, che fatto avrebbe, s'innalza. Quindi la crescita delle innondazioni prodotte da quelle acque; le quali innondazioni tanto più dannose riescono, quanto col calar del Fiume non
calano tutti i loro danni: mentre restano le acque ne' bassi luoghi delle Case, ne' quali recano non lievi pregiudicj.
Inoltre degli inconvenienti delle acque in quella parte ne risentono il disordine anche le altre acque superiori. Le acque, scorrenti per entro questa Città, sono state distribuite e dirette con tanto artificio di combinazione tra di esse, che, quasi dissi, risentirsi dalle parti delle medesime i danni, a similitudine del sangue, di cui il moto dai difetti di una vena particolare s'altera e si perturba nelle altre vene, che hanno comunicazione con quella.
Queste esposizioni de' danni, che la materia proposta abbracciano tutta, non sono che una storica verità. Per ben compirla aggiunger debbo, essere li danni suddetti dall'Ecc.za V.ra (cui nella fatta Visita io servij) stati considerati su la faccia del luogo, dove Ella stessa volle osservare, e d'ogni particolarità spettante al Pubblico ed al Privato interesse prendere esatta informazione; e l'ottimo rimedio della ristaurazione propose. Per tanto ora l’umile ubbidienza mia altro non ha prestato, se non che quelli registrare in iscritto: e ciò con ottima sorte; quindi provenendo a me l’onore di soscrivermi quale sono con profondo ossequio.
Dell'Ecc.za V.ra

Padova. 15 Agosto 1749.

Um.o Div.mo Obbl.mo servidore
Giovanni Poleni

 

da "Padova e la sua provincia", anno XXIV, Luglio 1978

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NOTE

(1) I dati principali e il materiale iconografico sono tratti da: Il nuovo macello pubblico di Padova, in “L'Edilizia Moderna”, XVII, V, maggio 1908, pp. 34-36. Vedi anche Una
visita al nuovo Macello nell’imminenza dell’apertura, in “La Provincia”,1-2 settembre 1908.
(2] Gli edifici appaiono, seppure sommariamente, nella pianta di Padova del 1906 di L. Salce, edizioni Drucker.
(3) Per le vicende urbanistiche padovane a cavallo del secolo vedi il saggio di M. Universo, L'architettura della “Padova nova”, in aa.vv., Padova. Cast e Palazzi, Vicenza
1977, pp. 271-295.
(4) Architetto veronese, 1862-1919, protagonista, in qualità di tecnico comunale, delle maggiori operazioni urbanistiche dell'epoca: rettifilo per la Stazione, ponte sul Piovego, Macello, Foro Boario, Palazzo delle Poste. Vedi nota precedente e G. Toffanin J., Cent'anni in una città, Cittadella 1973, p. 190.
(5) Vedi nota 2.
D. Donghi, Manuale dell'Architetto, Torino 1925, vol. II, parte prima, pp. 238-242.
L'esempio padovano è illustrato alle pp. 215 e 216. Per una trattazione completa dell'argomento, ibidem, pp. 97-245 e P. Carbonara, Architettura pratica, vol. V, II, Torino 1962, pp. 473-568.
(7) L. Bosio, Problemi topografici di Padova preromana, in Padova preromana. Catalogo della Mostra, Padova 1976, pp. 3-9.
(8) L'arco centrale è stato rialzato - si legge chiaramente, sul manufatto, il taglio dell'arcata primitiva - e così il piano del ponte, incurvato a dorso d'asino. Si ha poi notizia, dalla lapide posta sul fabbricato, della riattivazione, nel 1781, della navigazione nel canale “attraverso il quale si apriva ai navigli I'accesso alla città” (l'iscrizione è in latino).
(9) Il disegno, acquarellato, cm.73x50, è di G. B. Savio. Archivio di Stato di Venezia, Archivio privato Poleni, reg. 4 (T. III). c. 206. Autorizzazione ministeriale n. 1.165 del
10.2-1978.
(10) Ibidem, cc.211 e 212.

 


Questa sezione è in costruzione, ma nel menu a sinistra abbiamo cominciato a inserire alcuni testi sull'argomento.


(pagina in costruzione)

 

Il 14 maggio 1509 le truppe francesi appartenenti alla Lega di Cambrai, promossa l'anno precedente contro Venezia dal Papa Giulio II e comprendente Francia, Spagna, Impero e altri stati minori italiani, infliggono alla Serenissima una inattesa quanto dolorosa sconfitta, cui segue una rotta che mette a repentaglio la stessa sopravvivenza della Repubblica, che perde tutto il territorio dello Stato da Terra e tutte le città, ad eccezione di Treviso, ma inclusa Padova. La Lega arriva dunque a un passo dall'attuare il proposito del papa e dei collegati della Lega, che è quello di cancellare la Repubblica dallo scenario politico e spartirsene i territori. Per fortuna di Venezia, i francesi non compiono l'ultimo atto, l'occupazione della città, che spetta a Massimiliano I. L'imperatore deve però attendere l'arrivo delle sue potenti artiglierie e le operazioni hanno un provvidenziale arresto. Della pausa insperata approfitta il provveditore generale Andrea Gritti, che il 17 luglio con un abile colpo di mano riprende Padova e qui organizza l'estremo tentativo di salvare Venezia da una fine che viene ormai data per certa.

Nell’estate del 1509 i Veneziani, sotto la direzione del Gritti, con l’ausilio della popolazione di Padova e dei “rusteghi” del contado, elaborano un complesso disegno difensivo per impedire una nuova caduta della città in mano imperiale, riadattando il perimetro esterno delle mura carraresi per rispondere, per quanto possibile, alle nuove esigenze di difesa imposte dalle artiglierie. Le mura medievali, inutilmente alte e turrite, vengono abbassate e rinforzate all'interno da terrapieni per meglio assorbire i colpi dell'artiglieria. Nei punti più delicati vengono eretti in fretta dei bastioni provvisori in terra, contenuti da palizzate in legno, per appostarvi le artiglierie e meglio proteggere le mura. All'interno e all'esterno della cinta vengono scavati nuovi fossati, mentre si dà inizio all'abbattimento di tutti gli edifici e persino gli alberi ad alto fusto esistenti attorno alla città: il guasto, così è definita l'opera, sarà poi completato negli anni successivi per la profondità di un miglio.

Nella seconda metà di quel settembre 1509 ha luogo l’epico scontro al bastione della “Gatta”, che vedrà le forze veneziane assediate respingere gli attacchi delle truppe dell’imperatore Massimiliano, che sarà costretto a rinunciare a conquistare Padova.
Grazie a questo successo Venezia avrà il tempo di riprendersi dallo shock della sconfitta di Agnadello, riorganizzarsi e riconquistare gradualmente il proprio dominio, grazie anche ai cambi di alleanze che si verificheranno nella compagine avversaria di lì a poco.

Il complesso fortificato provvisorio, realizzato così efficacemente in appena due mesi scarsi di lavoro, impiegando ogni uomo disponibile, sarà all’origine della costruzione del sistema bastionato di Padova, iniziata nel 1513, alla fine delle operazioni belliche, e completata nel quarantennio successivo.

Altre pagine sull'argomento

- Cronologia dell'assedio di Padova

Link esterni:

- Agnadello, la battaglia che segnò il destino di Venezia, di Giuseppe Gullino

- La battaglia di Agnadello - 14 maggio 1509, documentario di Mario Traxino

- Le bandiere veneziane conquistate dagli svizzeri nella battaglia di Agnadello e conservate nel museo di Appenzell, di Massimo Predonzani

Letture consigliate:

- Il leone, l'aquila e la gatta. Venezia e la Lega di Cambrai. Guerra e fortificazioni dalla battaglia di Agnadello all’assedio di Padova del 1509, di Angiolo Lenci, ediz. Il Poligrafo, 2002
Le vicende che portarono alla stipula della Lega di Cambrai, alla sconfitta di Agnadello e all'assedio di Padova.
Con ampia bibliografia ragionata.

- Storia della guerra della Lega di Cambrai, di Giovan Francesco Buzzaccarini, a cura di Francesco Canton, Editoriale Programma, Padova 2010.
La guerra e l'assedio di Padova visti da un padovano di parte imperiale.

- Assedio! Padova 1509, di A. Greco, C. Ravazzolo e F. Saggiorato, S.A.R.G.O.N., Padova 2010
Riporta il testo integrale e una trascrizione moderna di La Obsidione di Padua di Bartolomeo Cordo, poemetto edito nel 1510, scritto da un probabile testimone oculare.

- L'Assedio di Padova dell'anno 1509 in correlazione alla guerra combattuta nel Veneto dal maggio all'ottobre, di Polibio Zanetti, estratto da Nuovo Archivio Veneto, t. II, parte I, Tip. Fratelli Visentini, Venezia 1891
Il primo studio approfondito sull'argomento, ancora molto utile per l'ampia documentazione, con estratti della Corrispondenza dei Provveditori, etc.

Gioca con il Gioco Didattico Multimediale L'Assedio di Padova del 1509 realizzato dell’Istituto "G. Valle" di Padova



(sezione in costruzione)

 

da "Padova e la sua provincia", anno XXIV, luglio 1978

 

Le strutture urbane

e le mura cinquecentesche

di Ognissanti



Giulio Bresciani Alvarez

 

Il primo studio sulla genesi e l'evoluzione del settore orientale del sistema bastionato, dove avrebbe dovuto sorgere la fortezza, mai completata, del Castelnuovo.

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Le mura di Padova - Il monumento invisibile

Il giro delle mura veneziane sulla pianta settecentesca di Giovanni Valle (filmato di circa 4'40")



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da "Padova e la sua provincia", anno XXIX, giugno 1983

 

ANCORA PER UNA STORIA DELLE MURA DI PADOVA:

UN'INDAGINE RICOGNITIVA DEL SISTEMA

BASTIONATO NEL SETTECENTO



ANGIOLO LENCI

 

Una indagine commissionata dal rettore Polo Renier al perito Giovanni Battista Savio nel 1735 permette di conoscere lo stato delle mura all'epoca e i criteri che guidavano gli interventi di manutenzione.

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Le mura di Padova - Il monumento invisibile Il giro delle mura veneziane sulla pianta settecentesca di Giovanni Valle (filmato di circa 4'40") Vuoi saperne di più sulle mura rinascimentali di Padova? Inizia da qui  

 

Le mura cinquecentesche di Padova si conservano sostanzialmente intatte fino agli inizi dell'Ottocento. Rimaste probabilmente incomplete in molte loro parti già nel Cinquecento, causa la diminuita importanza strategica della città rispetto alla posizione dei confini della Serenissima, che rendeva inutile ogni ulteriore spesa per il loro completamento o rafforzamento, non verranno coinvolte in alcun evento bellico e saranno soggette soltanto al normale degrado causato dal tempo, rallentato da normali opere di manutenzione, che riguardano non solo gli apparati murari propriamente detti, ma l'intero sistema bastionato, ivi comprese le fosse e il guasto, la spianata di un miglio tutto attorno al perimetro della città.

Nel corso del Settecento importanti interventi interessano, non tanto le mura, quanto le opere che le mettono in relazione alla rete dei canali che circondano e attraversano la città. Vengono separati i corsi del Piovego e del canale San Massimo - Roncajette, viene modificato il ponte delle grade di San Massimo e vengono aggiornate le porte Contarine. Nella seconda metà del Settecento si sostituiscono i ponti in legno davanti alle porte con ponti in pietra.

Con la caduta della Repubblica di Venezia inizia il vero declino delle mura, che già con l'arrivo delle truppe francesi subiscono un primo grave sfregio: la distruzione dei leoni marciani collocati su porte e bastioni (ne sono stati recuperati solo pochi resti). Con il ripiegamento dei francesi nel 1801 subiscono un danneggiamento ben maggiore, le cui conseguenze sono tuttora visibili e sono causa di buona parte dei problemi che le mura oggi presentano: i bastioni del fronte occidentale vengono minati e fatti saltare, per renderli inservibili.

Altre manomissioni, questa volta "pacifiche", seguiranno a partire dall'acquisto delle mura dal demanio da parte del Comune di Padova, nel 1882. Acquistate non tanto per essere salvaguardate, quanto per poterle utilizzare per uso pubblico, subiscono interventi anche radicali: interi tratti vengono rasi al suolo per essere utilizzati come strade, o come viali per il pubblico passeggio, alcuni bastioni divengono giardini pubblici, i terrapieni vengono in buona parte eliminati per costruire edifici di pubblico interesse (scuole o case popolari) sui terreni così liberati, altri edifici pubblici vengono costruiti sugli stessi bastioni, come le scuole all'aperto o la clinica per la cura delle malattie polmonari, o ancora il serbatoio dell'acqua a Codalunga.
Vengono aperte numerose brecce nella cortina per agevolare la circolazione stradale e vengono progressivamente invasi gli spazi esterni, fino a far quasi del tutto scomparire la fossa.

La consapevolezza della necessità di salvaguardare quanto resta delle mura è acquisizione relativamente recente, del secondo dopoguerra, e non è priva, neppure oggi, di incertezze, contraddizioni e ambiguità.

Le pagine di questa sezione (vedi il menu a sinistra) documentano e illustrano in dettaglio le trasformazioni subite dalle mura rinascimentali di Padova nel corso dei quasi cinque secoli successivi alla loro costruzione.

Il capitolo Le mura fra Ottocento e Novecento della Storia in breve offre una panoramica concisa dei principali interventi, corredata di foto d'epoca.

 

(questa sezione è in costruzione)

 

 

pianta del ValleCon la fine della guerra contro la Lega di Cambrai, che ne aveva messa in grave pericolo la stessa sopravvivenza, la Serenissima decide di dotare Padova, la più importante città della terraferma, di un nuovo sistema bastionato adeguato alle nuove tecniche belliche, caratterizzate dall'uso esteso delle artiglierie, per sostituire le trecentesche mura carraresi, già ampiamente modificate durante l'assedio del 1509, sotto la direzione del provveditore Andrea Gritti e con la consulenza di Fra' Giocondo, proprio per resistere all'urto dei cannoni.

Dal 1513, terminate o quasi le operazioni belliche, i lavori prendono impulso sotto la guida di Bartolomeo d'Alviano, capitano generale da tera della Repubblica, appena ritornato dalla prigionia in Francia, e del suo inzegner di fiducia Sebastiano Mariani da Lugano, proseguendo poi per qualche decennio sotto la direzione di altri uomini d'armi e architetti, ultimi dei quali i Sanmicheli, non senza lunghe pause e ripensamenti che determinano la struttura composita del sistema, con bastioni di varia foggia, e in qualche caso mai completati, come il Castelnuovo, la possente fortezza progettata a Ognissanti ma divenuta inutile dopo il definitivo assestamento dei confini oltre Verona.

Gli ultimi baluardi, Cornaro e Santa Croce, vengono completati negli anni quaranta e cinquanta del '500.

Le mura veneziane di Padova non subiranno mai attacchi o assedi, ma delimiteranno la città e determineranno la forma che essa conserverà fino all'inizio del XX secolo, quando inizierà l'espansione all'esterno delle cinta.

 

Per le informazioni storiche essenziali sulle mura veneziane vi rimandiamo al relativo capitolo della Storia in breve.

Per notizie storiche più dettagliate e una descrizione di ogni singolo manufatto seguite il menu Le mura rinascimentali qui a sinistra

Notizie e immagini di porte e bastioni si trovano anche nelle sezioni Studi progetti documenti e Conservazione e restauro.


Se non conoscete
le mura veneziane
di Padova
guardate la
presentazione  >>

 

Per maggiori approfondimenti vi rimandiamo a:

- NOVITÀ > Mura di Padova, guida al sistema bastionato rinascimentale, a cura di Ugo Fadini per Comitato Mura, in Edibus, Vicenza 2013. La prima guida dettagliata alla visita alla cinta muraria veneziana. Riccamente illustrata, con bibliografia.

- Le mura di Padova, percorso storico-architettonico, di Giuliana Mazzi, Adriano Verdi e Vittorio Dal Piaz, Il Poligrafo, 2002. L'opera più completa sull'argomento oggi disponibile, che contiene anche la bibliografia precedente.

- Padova e le sue mura, di Elio Franzin con Angiolo Lenci, Signum Edizioni, Padova 1982. La prima monografia moderna, che include anche le mura comunali, con un approccio storico aneddotico più che descrittivo.

- Le mura di Padova, di Giacomo Rusconi, Tip. A. Vicenzi, Bassano 1921. Il primo studio su basi scientifiche del sistema bastionato, ancora oggi fonte di informazioni preziose, basate sui documenti d'archivio.

Per la guerra con la Lega di Cambrai e l'assedio di Padova:
- Il leone, l'aquila e la gatta, di Angiolo Lenci, Il Poligrafo, 2002, con ampia bibliografia ragionata.