Per la gran parte dei Padovani l'8 febbraio è un giorno di festa legato ai riti goliardici degli studenti universitari. Questi a loro volta si svolgono proprio in questa giornata per ricordare i fatti del 1848 quando la ribellione degli studenti contribuì a liberare, temporaneamente, la città dal dominio austriaco. Fu il primo segno evidente del Risorgimento a Padova.
Esiste però anche "un altro" 8 febbraio importante per Padova, seppur meno noto e celebrato rispetto a quello di origine ottocentesca.
L'8 febbraio 1944 la città è colpita da un pesante bombardamento aereo che ha come obiettivo i binari ferroviari. Il primo effettuato in piena notte sulla città già colpita in diverse occasioni dal dicembre del 1943.
Le sirene antiaeree svegliano, poco dopo la mezzanotte, la città oscurata e dormiente. Adulti, bambini e vecchi scendono dai letti e si rivestono in fretta, pronti a uscire di casa, chi per andare in aperta campagna e chi per riparare in luoghi ritenuti sicuri, i rifugi. Sotto le strade e le piazze cittadine sono state ricavate numerose strutture per ospitare la popolazione; alcuni rifugi però stati creati adattando porte e bastioni delle mura cinquecentesche. In realtà la sicurezza garantita da queste strutture, sia antiche che moderne, non è assoluta.
Molti abitanti della zona di barriera Trento, delle case popolari di via Citolo da Perugia, dell'asse di via Beato Pellegrino e della zona fuori le mura accorrono verso il rifugio del "Raggio di Sole" così chiamato perché limitrofo all'omonima scuola, nata per la cura dei ragazzi "deboli". In realtà, il rifugio altro non è che la parte interna e sotterranea del torrione Impossibile, uno dei primi costruiti della cerchia di mura cinquecentesche. Una galleria a forma di T, con scarsissima illuminazione e il cui unico arredo è costituito dalle panche in legno lungo le pareti. Alcuni entrano dal giardino della scuola, altri passano su due ponticelli di legno che, scavalcando la fossa delle mura, portano a due ingressi ricavati nello spessore murario. Qualcuno si porta dietro i pochi oggetti di valore, gelosamente nascosti sotto i cappotti; altri invece arrivano con qualcosa da mangiare. Nessuno sa quanto durerà il bombardamento. Centinaia di persone trovano posto nella galleria sotterranea, sperando che il suono del cessato allarme giunga al più presto.
Le bombe cominciano a cadere, sono aerei inglesi che le trasportano, i vecchi bimotori Wellington, usati quasi esclusivamente per i voli notturni perché troppo facilmente intercettabili di giorno. Trentotto velivoli sganciano 72 tonnellate di ordigni sulla città.
Una, una sola bomba cade sul rifugio, penetra lo spessore dell'antico terrapieno, rompe la volta in mattoni ed esplode. La deflagrazione, in un ambiente chiuso, è devastante. La volta del torrione si stacca dal resto della struttura, ma non crolla, le schegge e la tremenda onda d'urto uccidono circa 200 persone. Chi sopravvive si ritrova al buio, assordato dall'esplosione e circondato dai lamenti disperati dei feriti; chi non è ferito cerca familiari e amici seduti accanto fino a poco prima. E' molto difficile uscire dal rifugio, non si sa dove andare e altre bombe potrebbero ancora cadere. Dopo ore arrivano i primi soccorsi, sono i volontari dell'UNPA (Unione Nazionale Protezione Antiaerea) poi giungono semplici cittadini che vengono a cercare amici e parenti che credevano al sicuro. Ci vogliono ore per estrarre tutte le vittime, di molte si raccolgono resti che sarà impossibile riconoscere.
Una strage che però non lascia traccia nella stampa cittadina dei giorni seguenti perché il regime vieta di riportare notizie negative sugli eventi bellici. Don Luigi Rondin annota nel suo diario: "Dalle ore 2:30 alle 5 del mattino ha luogo il terzo bombardamento della città di Padova. Fu veramente terroristico. Si svolse in tutte le direzioni della città e del suburbio [...] Furono colpiti e distrutti rifugi con strage di ricoverati: nel rifugio così detto al "Raggio di Sole" le vittime ammontarono tra 200 e 300: un vero carnaio. Furono raccolte oltre alle vittime diciotto casse di resti umani".
I parenti delle vittime e i superstiti fanno realizzare, negli anni seguenti, un piccolo altare vicino all'ingresso del bastione, ma il ricordo di questa tragedia di guerra stenta ad entrare nella memoria collettiva della città, superando la cerchia di chi fu direttamente coinvolto dai fatti e visse quel momento.
Per evitare che la memoria di quella terribile notte e delle persone che vi persero la vita vada perduto il Comitato Mura - che ha sede proprio al torrione Impossibile - coordina e organizza insieme al Comune di Padova e alla Parrocchia della Natività le iniziative per l'anniversario dei fatti.
Fabio Bordignon, 2011
Ricostruzione basata sulle testimonianze dei superstiti (raccolte nel corso degli anni dalla nostra associazione) e su specifiche ricerche storiche presso la RAF.
Il servizio mandato in onda nel 2011 dal Tg di Telenuovo sui fatti dell'8 febbraio '44, con testimonianze dei superstiti
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I servizi del TGR del Veneto sulle commemorazioni dell'8 febbraio 2015
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Il servizio del TGR del Veneto sulle iniziative di commemorazione del 2016
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Il servizio del TGPadova di Telenuovo sulle iniziative di commemorazione del 2016
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Il piccolo torrione a mezza luna sorge fra il torrione Alicorno e il complesso della Saracinesca, più vicino a quest'ultimo, al vertice di un saliente appena pronunciato, della lunghezza complessiva di 980 metri. Ha una gola e un diametro di 23 m e aveva probabilmente più una funzione di cavaliere per il tiro in barbetta dalla piattaforma superiore, che di bastione vero e proprio: a questo fa pensare anche il nome, che si riferisce probabilmente al tiro in ghirlanda, ovvero tutto attorno al parapetto, sul quale sono ancora percettibili tracce dei merloni e delle troniere. Solo uno scavo dei depositi golenali formatisi nelle gole potrebbe chiarire definitivamente questo aspetto, rivelando o meno l’esistenza di cannoniere. Ignota è anche la sua struttura interna, ammesso che si sia conservata dopo l’allestimento del monumento ai caduti della guerra di Russia negli anni Cinquanta del Novecento.
Le armi dei rettori un tempo appese sul torrione indicavano la data del 1523 per il suo completamento.
(Informazioni tratte da A. Verdi, Porte, bastioni, cortine, in G. Mazzi, A. Verdi, V. Dal Piaz, Le Mura di Padova, Il Poligrafo, Padova 2002, con integrazioni)
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L'esterno
Il monumento ai caduti nella campagna di Russia
Il baluardo Cornaro è il primo e il maggiore dei due grandi bastioni progettati per Padova dall'architetto veronese Michele Sanmicheli. Eretto nel 1539-1540, quand'era capitano di Padova Girolamo Cornaro, da cui prende il nome, rimane più un pericolo che una difesa per la città fino al 1556, quando, a carico del territorio soggetto, è completato il terrapieno interno, allargando la fossa sui fianchi. Si attesta a metà della lunga cortina rettilinea che dal rientrante dei molini dei Gesuiti (in gran parte demolito nella seconda metà del ‘900 con la costruzione del polo ospedaliero) giunge fino alle gradelle di San Massimo. La larghezza della gola lungo la cortina è di ben 105 m, mentre i fianchi misurano 42-44 m e le facce esterne 58-60. L'angolo fiancheggiato tra le facce è di 120°, quasi uguale agli angoli di spalla tra ciascun fianco e la faccia contigua. I raccordi tra fianchi e facce laterizie sono arrotondati, mentre l'angolo tra le facce è rivestito di pietra. Sopra il cordone della faccia meridionale si conservano alcuni resti della cornice in pietra istriana di un leone marciano rimosso o di una lapide.
Lungo ogni fianco è ricavata una piazza bassa a cielo aperto con i lati brevi arrotondati. Oggi la situazione è stravolta dalla presenza della Clinica Neurologica, che ha sostituito il precedente reparto Tubercolosi. La piazza bassa orientale è stata coperta, mentre quella occidentale è adibita a parcheggio.
Ciascuna piazza bassa era dotata di due cannoniere affiancate e di una galleria di accesso indipendente sotto il terrapieno. Un'altra galleria di collegamento tra le piazzebasse avrebbe potuto fungere da contromina.
All'esterno del bastione e del tratto di cortina che da esso prosegue in direzione nord est, verso il torrione del Portello Vecchio (Buovo), si conserva quasi inalterata e priva di edifici la fossa, ovvero la larga fascia di terreno allagabile in caso di necessità, che circondava in origine tutta la cerchia delle mura veneziane.
(testo tratto da A. Verdi, Porte, bastioni, cortine, in G. Mazzi, A. Verdi, V. Dal Piaz, Le Mura di Padova, Il Poligrafo 2002, con integrazioni)
(scorrere col mouse sulle immagini per leggere le didascalie, cliccare sulle immagini per ingrandirle)
L'esterno
La piazzebassa est
La piazzebassa ovest
In attesa di realizzare le pagine relative, segnaliamo che una descrizione dettagliata e aggiornata delle strutture si può trovare nel volume Il Castelnuovo di Padova: la fortezza mancata, appena uscito per iniziativa del Comitato Mura, che comprende un ampio regesto delle fonti d'archivio e iconografiche, la descrizione dello stato attuale dei manufatti, la relazione dei saggi archeologici propedeutici ai restauri di parte delle strutture eseguiti fra il 2007 e il 2008 e una analisi dello stato delle conoscenze riguardo alla genesi e alle vicende che hanno interessato l'area.
Per maggiori dettagli vi rimandiamo alla pagina di presentazione del volume, raggiungibile cliccando sull'immagine qui sotto.
Consigliamo anche la lettura dei due saggi dedicati in passato all'argomento:
- Il Castelnuovo di Padova di Maurizio Berti, in Arkos, Nardini Editore, Anno VII, Nuova serie, aprile/giugno 2006, disponibile anche online seguendo questo link
- Le strutture urbane e le mura cinquecentesche di Ognissanti, di Giulio Bresciani Alvarez, in "Padova e la sua provincia", Anno XXIV, luglio 1978, scaricabile in pdf dal nostro sito
Per informazioni aggiornate sulla situazione dell'area consigliamo di consultare i numerosi articoli pubblicati nella sezione Notizie:
- 15 gennaio 2012 - Una golena, la nettezza urbana, due santi e una cannoniera
- 20 ottobre 2011 - Rifiuti, scavi e mura (contiene i link ai precedenti)
Come l'Impossibile, questa rondella era chiamata dal Gritti bastion punton, perché collocata su un saliente murario addossato ad una cortina altrimenti rettilinea. Il bastione Pontecorvo fa parte della prima generazione dei bastioni delle mura di Padova, proprio come l'Impossibile. La lunghezza dei raccordi murari è di circa 40 m, concorrenti tra loro ad angolo retto, mentre il diametro del torrione è di 43 m e la gola di quasi 37. Risulta evidente il vantaggio per il tiro di fiancheggiamento offerto dalla posizione avanzata del torrione sul vertice del saliente, rispetto ad una localizzazione diretta sulla cortina muraria rettilinea. Il torrione dispone delle camatte interne, ma attualmente è stata esplorata la sola cannoniera settentrionale, con entrata dall'alto del terrapieno attraverso tre locali voltati a pianta irregolare. Lo spessore del muro esterno al piede supera i 6 m. Ma il rilievo non è completo, dato che esiste anche la cannoniera meridionale, come si vede dall'esterno. Inoltre, a fianco della cannoniera nord, se ne apre una seconda sulla cortina.
Oggi è stridente il contrasto tra le diverse altezze della muratura nel punto di raccordo tra i salienti alti 8 m e la cortina rettilinea rasa al suolo. Qui sono collocate altre cannoniere, angolate per la difesa del torrione.
Il bastione è oggi lambito dalla sede stradale la quale è il risultato del parziale raddrizzamento della strada di circonvallazione esterna operato per consentire il passaggio di una delle vecchie linee tramviarie. Il "relitto" stradale del vecchio percorso della circonvallazione è però perfettamente riconoscibile lungo il lato più esterno dell'attuale via Manzoni.
(testo tratto da A. Verdi, Porte, bastioni, cortine, in G. Mazzi, A. Verdi, V. Dal Piaz, Le Mura di Padova, Il Poligrafo 2002, con integrazioni)
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Iconografia storica
L'esterno
Il terrapieno e gli spazi interni
Le notizie storiche sulla costruzione del torrione di S. Giustina sono alquanto scarse. I lavori che sappiamo essere stati disposti nel 1513 dal Capitano Generale Bartolomeo D’Alviano dietro la basilica da cui prende il nome, si riferiscono probabilmente a una prima struttura costituita da un semplice terrapieno, cui la definitiva costruzione in muratura faceva seguito in un momento imprecisato ma comunque abbastanza vicino nel tempo, e ancora sulle indicazioni del D’Alviano, trattandosi di un bastione a pianta circolare, dunque della prima generazione dei bastioni padovani.
Il torrione ha pianta circolare, col centro all’esterno del vertice del saliente tra i due tratti murari rettilinei, formanti un angolo di 140°. La distanza dei fianchi da quelli dei bastioni vicini è di 409 metri verso S. Croce e 487 verso Pontecorvo. Queste misure corrispondono alla gittata utile dei proiettili, lanciabili in quegli anni da una grossa bombarda petraia.
Il diametro misura quasi 57 metri, poco superiore alla corda tesa tra i due angoli di fianco, chiamata gola, che è lunga 54 metri. La base cilindrica è scarpata, col piede più largo della sommità, fino al cordone lapideo alto un piede (cm 35,7), oltre il quale il muro continua verticale col parapetto, che poi gira all’interno. L’incamiciatura è in mattoni, ma la struttura interna è a sacco, cioè con un riempimento eterogeneo di pietrame legato con la calce.
Sui fianchi, a ridosso dell'angolo formato dal bastione con le cortine, sono presenti due cannoniere, cui corrispondono all'interno due grandi casematte con volta a botte, che però fino a poco tempo fa risultavano inaccessibili, essendo scomparse le gallerie di accesso ed erano visibili soltanto dai relativi camini di sfiato.
Fra il 2005 e il 2006 il torrione è stato oggetto di un discutibile intervento di restauro che ne ha alterato la struttura interna e falsato in qualche modo l’aspetto esterno (l'intervento è stato fortemente e concordemente criticato dalle associazioni cittadine più sensibili alla tematica della conservazione e del restauro).
Allo scopo di ricavare degli spazi utilizzabili, si è realizzata all’interno del terrapieno una sala, collegata da due corti corridoi alle due casematte originali e “nascosta” sotto una ripida rampa. Né la sala, né la rampa, né i corridoi hanno alcun riscontro in strutture preesistenti, costituiscono quindi un intervento del tutto arbitrario. Anche i due camini delle casematte sono stati interamente ricostruiti per la parte visibile sulla sommità del terrapieno, il quale ultimo è stato mantenuto troppo basso, impedendo così la vista verso l’esterno, snaturando con ciò la funzione del bastione.
Il paramento esterno del torrione è stato restaurato ricostruendone interamente la camicia esterna, laddove era del tutto scomparsa. Anche la cannoniera di nord-est è stata integralmente ricostruita, per di più in modo assai poco conforme all'originale. Per ricostituire la continuità del cordone si è per fortuna rinunciato a ricrearlo in pietra, limitandosi a segnarlo con dei corsi di mattoni in rilievo.
Unici portati positivi sono stati la riapertura delle due cannoniere (con le forti riserve di cui sopra) e naturalmente l’accessibilità alla casamatta nord, ottenuta al prezzo dell’apertura di una varco mai esistito in precedenza, rinunciando invece a risolvere il problema tuttora aperto dell'accesso originario, che avveniva probabilmente in modo indipendente per ciascuna casamatta, dai due piccoli vani a gomito, oggi ciechi, che si aprono negli angoli nord della casamatta nord e in quello ovest di quella sud. Per quest'ultima, forse per un ravvedimento dell’ultimo minuto, ci si è per fortuna limitati ad un foro nella muratura che permette di vederne l’interno, rimasto per il resto intatto e originale.
Nell'ambito della sistemazione degli spazi interni per collocarvi un roseto, è stato anche ripulito il lato interno del tratto di cortina fino alla breccia di via D'Aquapendente, caratterizzato da contrafforti a base triangolare, oggi visibili, ma che in origine erano coperti dal terrapieno, come avviene tuttora per il tratto che prosegue verso sud-ovest dopo la breccia, dove il terrapieno è invece conservato, fino al baluardo Santa Croce.
Ugo Fadini, 12/2011 (la descrizione tecnica è ripresa da A. Verdi, Porte, bastioni, cortine, in G. Mazzi, A. Verdi, V. Dal Piaz, Le Mura di Padova, Il Poligrafo, Padova 2002)
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Rilievi, piante e sezioni
L'esterno
Il lato verso la città e il terrapieno
Gli spazi interni - la sala, i corridoi, la casamatta sud-ovest
Gli spazi interni - la casamatta nord
Gli spazi interni - il vano cieco adiacente alla casamatta nord
La cortina a sud-ovest e la breccia
Detto anche bastione di Codalunga (Coalonga), dall'omonimo quartiere della città medievale, acquisì il nome con cui è oggi meglio conosciuto durante l'assedio di Padova ad opera dell'esercito dell'imperatore Massimiliano nel 1509, nel corso della guerra della Lega di Cambrai contro Venezia, quando i difensori appesero in cima a un'asta un drappo che avrebbe dovuto raffigurare il leone di San Marco, ma che, malriuscito, venne beffardamente additato da tutti come una gatta. Tale drappo venne rubato una notte da un soldato spagnolo, che ricevette da Massimiliano un dono di cento scudi e la possibilità per i suoi connazionali di tentare per primi l'attacco (il 26 settembre): cosa ambita, vista la ricompensa di 10.000 scudi d'oro promessa dal cardinale Ippolito d'Este, per conto del Papa, alla nazione che per prima si fosse impadronita del bastione. Opera del maestro dell'arsenale Nicolò Pasqualigo, e realizzato in gran fretta nell'estate che precedette l'assedio, inizialmente il bastione (con un diametro di 50 m) si innestava su una cortina costituita da un terrapieno compreso fra due palizzate, rinforzato da un'ulteriore palizzata interna mediana. Di fronte si trovava un fosso riempito dall'acqua delle risorgive che si manifestavano appena scavato un metro in profondità, impedendo così agli assedianti lo scavo di gallerie. Contro il bastione furono orientati sei grossi mortai e un grande cannone a lunga gittata; gli furono sparati contro circa 1500 proiettili nella sola giornata del 26 settembre 1509, che lo demolirono quasi completamente. I difensori, tutti cittadini padovani, erano comandati dal capitano Citolo da Perugia e dal suo aiutante Bernardino da Parma. Il 26 settembre gli spagnoli sferrarono l'assalto e riuscirono a occupare la fortificazione; tuttavia Citolo aveva costruito al centro della piazza d'armi del bastione una polveriera e l'aveva riempita di esplosivo, così da poterla far saltare in caso di pericolo, proprio come fece in questo frangente. Migliaia di nemici saltarono in aria e una sortita dei padovani mise in fuga i restanti assedianti. I giorni 28 e 29 settembre le truppe imperiali attaccarono nuovamente in massa, con l'ausilio dei contingenti che fino ad allora avevano badato ad accerchiare la città, sperando che i difensori non potessero più sfruttare il bastione ormai gravemente danneggiato. I padovani invece resistettero e inflissero pesanti perdite al nemico, riuscendo a distruggere anche gli ultimi grandi mortai rimasti. Fallì anche il tentativo di Massimiliano di deviare il Bacchiglione a Limena: i suoi uomini furono fatti prigionieri e gli ufficiali impiccati sul bastione della Gatta.
La colonna massimiliana
Eretta negli anni immediatamente successivi all'assedio del 1509 nel luogo dell'antico bastione che lo aveva sostenuto, posto un centinaio di metri più a nord dell'attuale, la colonna fu restaurata e rialzata nel 1764, spostata una prima volta nel 1845 per permettere la costruzione della ferrovia, poi di nuovo ricollocata nei pressi del torrione della Gatta per iniziativa di Carlo Leoni, con una nuova iscrizione, sgradita agli Austriaci che ne ordinarono la rimozione. Fu ricollocata in viale Codalunga nel 1866 al momento dell'annnessione del Veneto al Regno d'Italia e infine di nuovo spostata nell'attuale posizione nel 1997.
E' costituita da un assemblaggio di parti di diversa provenienza, reca su due lati del basamento lo stemma di Padova e sugli altri due l'iscrizione che ricorda il restauro del 1764 e quella dettata da Carlo Leoni nel 1858, che recita: "Qui fu il baluardo ove i nostri con tanto libero sangue sconfitto Massimiliano punirono la infamia di Cambré e l'aggressione straniera - MDIX - XXIX settembre memorabile".
Il serbatoio dell'acquedotto, la Rotonda, la cappella
All'interno del bastione è stata realizzata nel 1926 la torre-serbatoio dell'acquedotto della città, che ancor oggi lo sovrasta e lo caratterizza con le sue forme esterna da torre medievale che nascondono un'ardita ed elegante struttura in cemento armato. Lo caratterizza al punto da far credere a molti che la denominazione di bastione della Rotonda, con cui era noto nella prima metà del Novecento, derivasse proprio dalla torre rotonda del serbatoio, costruito in realtà quando la denominazione era già in uso da qualche decennio, perlomeno da fine Ottocento. Si riferiva invece al Teatro della Rotonda, un teatro estivo, con annessa birreria, caratterizzato da una tettoia poligonale. Era la succursale estiva del Salone Hesperia di via Roma, nel 1899 vi fu rappresentata un'opera di Donizetti e già ai primi del Novecento ospitava spettacoli cinematografici. Il cinema all'aperto sul bastione non è quindi una novità di oggi.
Alla base del serbatoio fu ricavata una cappella (accessibile da via Citolo da Perugia) in ricordo delle vittime del bombardamento aereo dell'11 novembre 1916, durante la I guerra mondiale. Gli ambienti interni del bastione erano infatti usati come rifugio dalla popolazione della zona. Quel giorno essi si assieparono nel vano d'accesso alla casamatta nord, essendo quest'ultima allagata a seguito dell'inondazione che in quei giorni aveva colpito alcune aree della città. Proprio in quel punto cadde una bomba. Novantatre furono le vittime tra quanti furono dilaniati dall'esplosione e quanti annegarono dopo essere stati sbalzati nella casamatta allagata. L'eccidio, che aveva deliberatamente colpito la popolazione civile allo scopo di fiaccarne il morale provocò una tale ondata di indignazione a livello mondiale che per molti mesi i bombardamenti austriaci contro obiettivi non strettamente militari furono sospesi. E' questo l'unico evento bellico in cui il bastione della Gatta sia stato realmente coinvolto.
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La colonna massimiliana
Il serbatoio dell'acquedotto
La cappella
La costruzione delle nuove mura di Padova viene avviata e procede per qualche anno in condizioni di emergenza continua, dopo l'assedio del 1509, con un'opera di graduale sostituzione delle mura carraresi, già riadattate in vista dell'assedio.
Questo comporta un succedersi di interventi isolati e discontinui, che si prolungheranno per qualche decennio, fino a concludersi in tempi di pace, ma soprattutto con la città ormai priva di qualsiasi rilevanza dal punto di vista militare, posta com'era nuovamente, a metà Cinquecento, ben all'interno del territorio veneziano.
La lunghezza del periodo di costruzione, lo stato di emergenza in cui vengono svolti i primi lavori, l'evoluzione delle artiglierie e di conseguenza delle teorie e delle tecniche di fortificazione in quell'arco di tempo, spiegano la varietà di situazioni e la diversità dei singoli manufatti, in particolare dei bastioni, che offrono nell'insieme una sorta di catalogo quasi completo di soluzioni, dai torrioni rotondi con o senza salienti, a due o tre piani, con cannoniere interne o a cielo aperto, ai baluardi, sempre più articolati e complessi. Manca, nella serie evolutiva, soltanto l'ultimo stadio, quello dei baluardi con orecchioni.
Il sistema bastionato di Padova comprende diciannove bastioni, fra torrioni o rondelle, di forma circolare, che appartengono alla prima fase, e baluardi, di forma poligonale, e altre strutture minori, come i cavalieri o il piccolo bastione della catena.
Per saperne di più su ogni singolo bastione, seguire i link qui sotto oppure l'indice nel menu a sinistra.
(l'ordine dell'elenco è lo stesso seguito nel filmato visibile alla voce Videotour delle mura: in senso orario, partendo dal torrione Pontecorvo)
- torrione Alicorno
- bastione della catena
- torrione della Saracinesca
- baluardo di S. Giovanni
- baluardo di S. Prosdocimo
- baluardo Savonarola
- cavaliere di barriera Trento
- baluardo Moro II
- baluardo Moro I
- torrione della Gatta o di Codalunga
- torrione dell'Arena
- torrione Piccolo
- torrione Venier o del Portello Nuovo
- torrione Castelnuovo o Gradenigo
- torrione Buovo o del Portello Vecchio
PAGINA IN COSTRUZIONE
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Deciso dal Senato veneto il 12 dicembre 1547, è l'ultimo baluardo costruito a Padova. Il suo progetto è attribuito a Giangirolamo Sanmicheli, nipote di Michele. Ha forma pentagonale tipica dei bastioni di ultima generazione del sistema difensivo della città. Tra di essi il bastione Santa Croce assume particolare importanza perchè è l'unico non pesantemente manomesso ed in cui si possa comprendere in maniera completa il funzionamento di queste strutture difensive.
Impostato sulla cortina rettilinea preesistente, a soli 13 metri dalla porta omonima, è portato a buon punto già l'anno successivo, vista la data del 1548 incisa alla base della nicchia per il leone marciano sulla faccia meridionale. Il leone, abbattuto dai francesi nel 1797 alla caduta della Serenissima, e ritrovato in stato frammentario, è attualmente adagiato all'interno del bastione in attesa di essere ricollocato nella sua posizione originale.
La gola del baluardo è lunga 88 metri, le facce circa 49 e i fianchi 40. E' dunque il secondo baluardo per dimensioni della città di Padova dopo il baluardo Cornaro iniziato nel 1539. L'angolo fiancheggiato misura circa 126°, ciò significa che già a un'ottantina di metri dai fianchi potevano essere collocate delle postazioni per spazzare le facce.
Come già nel Cornaro, la porzione più interna dei fianchi è ribassata, per facilitare l'utilizzo delle postazioni riparate in seconda linea sulla piattaforma superiore. Le piazzebasse a cielo aperto sono organizzate con due cannoniere per lato e grandi depositi coperti collegati da gallerie interne. Gli archi esterni delle cannoniere, larghi più di tre metri per consentire il brandeggio degli affusti, sono contornati da conci in pietra e appoggiati su un'unica fascia lapidea. Sono in trachite i raccordi tra i fianchi e le facce, mentre una cornice curva in pietra d'Istria conclude la sommità del parapetto. Una garitta occupa la punta sull'asse capitale.
Sulla piattaforma interna è situata dai primi anni del Novecento la scuola all'aperto Camillo Aita, le cui aule a padiglione sono distribuite anche lungo il terrapieno contiguo verso S. Giustina.
(testo tratto da A. Verdi, Porte, bastioni, cortine, in G. Mazzi, A. Verdi, V. Dal Piaz, Le Mura di Padova, Il Poligrafo 2002, con integrazioni)
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