Realizzata in data imprecisata e demolita a fine Ottocento, di questa porta ci restano solo alcune fotografie, oltre a resti della base sull'argine del Tronco Maestro. E' probabile che le fondazioni esistano ancora sotto la sede stradale, così come il ponte esterno a tre archi, del quale dall'argine si vede ancora il primo.

 

L'aspetto della porta come appare nelle foto è decisamente assai dimesso, rispetto a tutte le altre, il ché si spiega con l'uso a cui era destinata, almeno inizialmente, che non era pubblico bensì militare: dava infatti accesso alla cittadella nuova, che occupava un'ampia area delimitata dal Tronco Maestro del Bacchiglione ad est e dalle mura a sud e ovest e si spingeva a nord fino alla biforcazione del Naviglio Interno.

 

La struttura è in laterizio a vista e solo l'arco esterno ha una semplice cornice in pietra, sormontata da una inquadratura che ospitava probabilmente un leone di S. Marco. Il fianco est, lambito dalle acque del canale, presentava una cordonatura a livello del piano di campagna e al di sotto di questa era scarpato e rinforzato in pietra, perlomeno agli spigoli. E' notevolmente più bassa delle altre porte e dalla foto esterna non è chiaro se il portalino a sinistra nasconda un ingresso pedonale, assente nella facciata interna. Non mostra tracce evidenti di sostegni di un ponte levatoio, il ché fa pensare che possa essere stata abbassata, forse nel Settecento, all'epoca delle costruzione del ponte in muratura all'esterno della porta. Il lato verso la cittadella ha un aspetto decisamente rustico e verso il canale presenta uno spesso contrafforte murario che regge all'interno un rocchetto verticale, verosimilmente funzionante da argano per l'avvolgimento della catena che, agganciata al piccolo bastione ancora esistente sulla sponda opposta, regolava la navigazione, impedendo il transito dei natanti quando veniva tesa. L'alveo del canale, largo in quel punto circa 35 metri, era per metà ostruito dal lato est da una doppia palificata, all'interno della quale scorreva una slitta per la catena.

 

Demolita la porta, nel 1888 essa fu sostituita da una barriera daziaria, della quale rimangono oggi il casello, in uso al Consiglio di Quartiere 5, e i resti di un pilastro.

(il testo si basa sulle informazioni fornite in G. Mazzi, A. Verdi, V. Dal Piaz, Le Mura di Padova, Il Poligrafo 2002, opportunamente integrate)

 

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Quello che rimane

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La barriera daziaria

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Con la realizzazione della cinta bastionata cinquecentesca (a partire dal 1513) veniva drasticamente ridotto il numero degli accessi alla città: rispetto al gran numero di porte che si aprivano nelle cinte medievali, praticamente una al capo di ogni percorso di qualche importanza che incontrasse le mura, ora se ne contavano soltanto sei di uso pubblico, più quella della Saracinesca, che dava accesso alla cittadella nuova, ed era quindi di uso esclusivamente militare, e quella del Castelnuovo, una porta d’acqua che avrebbe permesso l’accesso alla nuova fortezza e che peraltro quasi sicuramente non entrò mai in uso. Le nuove porte di regola risultano disassate rispetto agli assi viari che esse servono, allo scopo di rendere più difficoltosi i movimenti delle truppe nemiche che l’avessero eventualmente violata.

 

Sopravvivono oggi cinque delle sette porte di terra: Liviana (o di Pontecorvo), Santa Croce, San Giovanni, Savonarola e Ognissanti (o del Portello) e la porta d’acqua del Castelnuovo; mentre sono state demolite, rispettivamente a fine Ottocento e agli inizi del Novecento, le porte Saracinesca e Codalunga.

 

Le nuove porte di Padova furono realizzate nell’arco di poco meno di un quindicennio, fra il 1517 e il 1530, su progetto di architetti diversi e presentano pertanto caratteristiche diverse, assieme a tratti comuni, come la pianta quadrata e la forma approssimativamente cubica e, per la maggior parte, la struttura delle facciate ad arco trionfale. Ognuna viene descritta in dettaglio nella pagina a ciascuna dedicata. Qui si dà qualche ragguaglio generale sulle principali caratteristiche comuni e sulle principali differenze.

 

Tutte le porte erano dotate di ponte levatoio, che poggiava a sua volta su di un ponte, inizialmente in legno, che scavalcava la larga fossa o il fiume. I ponti in legno furono in seguito sostituiti, quasi sempre nel Settecento, da ponti a più archi in pietra e mattoni, che per la maggior parte si conservano ancora, in qualche caso visibili, anche se con le pile parzialmente interrate (Savonarola, S. Giovanni, S. Croce), in altri sotterrati (Pontecorvo, Saracinesca e forse Codalunga). L'unico ancora interamente esposto è quello di porta Ognissanti.

 

Quasi tutte le porte di terra, con l'eccezione della porta, originariamente ad uso militare, della Saracinesca, ai lati del fornice principale ne presentano due minori, solo uno dei quali era però funzionale come passaggio pedonale, e neppure sempre. Quando ci sono (nel caso di porta Liviana sono stati obliterati), i due fornici sono presenti su entrambe le facciate, salvo nel caso di porta S. Giovanni, che li ha soltanto sulla facciata esterna (come pure porta Codalunga, stando ai rilievi ottocenteschi). Sulla facciata esterna di tutte le porte, sopra l’arco centrale, era collocato un leone marciano: tutti furono smantellati dai francesi nel 1797, facendoli rovinare nella fossa antistante: quello della porta d’acqua del Castelnuovo è stato in seguito recuperato, sebbene mutilo, e ricollocato al suo posto, quello di porta Santa Croce è conservato al Museo Civico. Quello di porta Savonarola fu rifatto nel 1928, quando, in occasione dell'apertura della breccia a sud della porta, questa fu restaurata, demolendo anche l'ultima arcata del ponte per ricostruire il ponte levatoio, in seguito sostituito da quello attuale, fisso.

Va infine ricordato che il processo di sostituzione delle nuove alle vecchie porte fu graduale e per qualche anno porte della vecchia cinta esterna carrarese continuarono a rimanere in uso: porta Savonarola e porta San Giovanni furono sostituite solo verso il 1530, mentre Porta Porciglia fu chiusa addirittura nel 1545, senza essere rimpiazzata da una nuova.

Per saperne di più su ogni singola porta, seguire i link qui sotto oppure l'indice nel menu a sinistra.


- Porta Liviana, o di Pontecorvo, fu così chiamata latinizzando il nome del capitano generale Bartolomeo D’Alviano, morto nel 1515, cui fu dedicata. Fu la prima delle nuove porte ad essere terminata, nel 1517. Pur presentando qualche evidente tentativo di composizione architettonica, questa si limita ad un arco sormontato da un timpano, sostenuto da lesene, che sul lato verso la campagna viene tagliato dai passaggi dei sostegni del ponte levatoio, segno evidente che quella estetica non era la principale preoccupazione dei costruttori in quel momento. E’ attribuita a Sebastiano Mariano da Lugano.

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Porta Santa Croce, quasi contemporanea e attribuita allo stesso architetto, presenta una cura assai maggiore per l’aspetto architettonico delle facciate, la cui parte centrale già si ispira all’arco trionfale classico, inserito in questo caso entro una ulteriore cornice architettonica con alte paraste in stile ionico che fanno da pilastri angolari dell’edificio. Assieme alla successiva porta Ognissanti è quella che si presenta in una posizione più decentrata rispetto all’asse viario naturale (borgo Santa Croce, oggi Corso Vittorio Emanuele).

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- Porta Ognissanti, o del Portello (così detta da quando nel 1534 qui fu spostato il porto di Padova in precedenza collocato all’esterno del bastione detto appunto del Portello Vecchio), è inaugurata nel 1519. Rispetto alle precedenti presenta un apparato decorativo più elaborato, specialmente sulla facciata esterna, rivolta verso Venezia, che risulta particolarmente scenografica, con doppie colonne in pietra d'Istria scanalate a tutto tondo e la torretta, con l'orologio e il piccolo padiglione poligonale aggiunti nel 1535. Il ponte settecentesco e il livello del canale, oggi assai più alto che in origine, ne impediscono oggi la visione completa. Più sobria la facciata verso la città, nonostante l’inserimento sopra le porte laterali di elaborati rilievi celebrativi settecenteschi. E' attribuita all’architetto Guglielmo Grizi detto il Bergamasco.

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- Porta Codalunga, abbattuta definitivamente nel 1925 dopo essere stata notevolmente ristrutturata nel 1859, era stata realizzata nel 1521. Dalle poche raffigurazioni e da una serie di rilievi effettuati al momento della ristrutturazione ottocentesca appare di disegno decisamente più sobrio, con l'abituale grande arco al centro e le due aperture minori ai lati, ma quasi priva di decorazioni, a parte il leone marciano.

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- Porta San Giovanni, del 1528, è la prima delle due progettate dal pittore e architetto Giovanni Maria Falconetto, le uniche quindi che si debbano ad un architetto non militare. Non per caso sono le più compiute dal punto di vista formale e quelle che si rifanno con maggiore coerenza al modello dell’arco trionfale classico tripartito, con colonne sulla facciata esterna e lesene su quella verso città, dove non presenta le due porte pedonali, neppure finte, sostituite da due mensoline. L’interno è quadrato.

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- Porta Savonarola, sua quasi gemella, è realizzata due anni più tardi, nel 1530, e si differenzia principalmente per le colonne in pietra d’Istria, quattro all’esterno e due all’interno, il diverso trattamento delle porte pedonali e per l’interno ottagonale che fa pensare all’Odeo Cornaro, che Falconetto stava realizzando negli stessi mesi. Particolarmente eleganti sono i quattro scudi in trachite inseriti tra le colonne, con al centro i busti in pietra d’Istria di divinità pagane.

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- Porta Saracinesca, realizzata in data imprecisata, fu demolita nel 1888. Ce ne rimangono buone fotografie, che mostrano una struttura di disegno strettamente funzionale, praticamente priva di decorazione, essendo destinata ad uso militare: dava infatti accesso alla cittadella. Dal fianco della porta si tendeva la catena che regolava il passaggio dei natanti sul fiume.

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- Porta del Castelnuovo è una porta d’acqua ricavata nel tratto meridionale del bastione omonimo e risale al 1519. Doveva servire di accesso alla nuova fortezza, mai completata, detta appunto del Castelnuovo. Non fu probabilmente mai usata e venne quasi subito murata. Essendo rivolta verso la Dominante, pur essendo destinata ad uso militare presenta comunque un certa cura dal punto di vista della decorazione architettonica, con gli stipiti diamantati a sostegno della trabeazione sopra l’arco, ed è accompagnata da una postierla pedonale e, poco più distante, da un’altra apertura destinata al passaggio di piccole imbarcazioni, sormontata da un’edicola con la statua di San Prosdocimo.

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Completata nel 1528, la porta è opera dell'architetto Giovanni Maria Falconetto. Le facciate principali, larghe 14 m e col fronte esterno a filo della cortina, sono entrambe impostate secondo lo schema classico dell'arco di trionfo tripartito e sono interamente rivestite con lastre di pietra trachitica, salvo il parapetto che, con due feritoie per parte, indica ancora la sua funzione militare. Tuttavia esse sono notevolmente differenti: all'esterno l'ordine principale è composto da quattro colonne libere, con fusti in trachite che risaltano sulla superficie liscia della pietra, mentre l'ordine interno è formato da quattro lesene su un campo murario bugnato. Ai lati dell'arco d'accesso centrale sono collocate all'esterno due porte pedonali simmetriche, di cui solo quella meridionale era realmente funzionante, incorniciate da lesene e sormontate da frontoni triangolari, mentre all'interno le porte secondarie mancano. Il piano attico mostra ai lati due coppie di stemmi in pietra d'Istria, sia all'interno che all'esterno. La posizione centrale esterna era occupata dal leone marciano, abbattuto dell'esercito napoleonico, mentre all'interno vi è scolpita la scritta dedicatoria con la data del 1528, che ricorda il doge Andrea Gritti. La scritta sull'architrave esterno ricorda che l'opera è stata iniziata e conclusa durante il rettorato di Sante Contarini, figlio di Stefano, capitano di Padova nel 1527. Il suo stemma è appeso a destra tra le iniziali S.C., mentre lo stemma di sinistra, con le iniziali P.M., è quello di Pandolfo Morosini, podestà nel 1526. All'interno lo stemma del Contarini viene ripetuto sulla destra, mentre sulla sinistra si trova quello di Maffeo Michiel, podestà nel 1527.
Lo spazio interno è quadrato, con pilastri angolari sporgenti e volta a crociera. Da una porta al centro del fianco esterno meridionale si accede alla scala che sale nello spessore della muratura fino al piano del sottotetto. A sud della porta, all'interno della cortina muraria, è situata la casamatta per l'artiglieria che copriva la faccia settentrionale del Baluardo San Giovanni.
Il ponte settecentesco presente all'esterno permetteva di scavalcare l'area del fossato (più largo e profondo dell'attuale spazio, eroso dalla viabilità moderna).
Sull'esterno la porta è lambita da un piccolo (e attualmente maleodorante) canale chiamato fossa Bastioni che corre lungo le mura dal bastione Saracinesca a quello della Gatta.

(testo tratto da A. Verdi, Porte, bastioni, cortine, in G. Mazzi, A. Verdi, V. Dal Piaz, Le Mura di Padova, Il Poligrafo 2002, con integrazioni)

 

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La facciata esterna e il ponte

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La facciata interna, verso la città

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I fianchi

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L'interno

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La cannoniera e i resti della camatta

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Secondo quanto riportato da Angelo Portenari in “Della Felicità di Padova” (1623), la costruzione della nuova Porta di Codalunga, in sostituzione di quella medievale, fu decisa nel 1521, essendo podestà Andrea Magno e Capitano Pietro Marcello. Il ponte in pietra che la precedeva a nord superando la fossa (che probabilmente si conserva interrato al centro dell'attuale viale Codalunga) era invece del 1549, l'unico a essere realizzato in muratura già nel Cinquecento (gli altri sono rimasti in legno fino al XVIII secolo).

 

Nel 1859, quando fu realizzata la nuova barriera daziaria, ampia e monumentale in quanto destinata a servire anche i traffici dalla stazione ferroviaria, le cortine ai suoi lati furono abbattute, la fossa esterna venne interrata, mentre la porta non fu completamente abbattuta, ma radicalmente ristrutturata, adattandone l’aspetto ai gusti del tempo. Due notevoli gruppi scultorei, opera di Luigi Ferrari, furono posti sopra l’arco centrale nel 1863: rappresentavano l’Industria sul lato verso la città, e l’Agricoltura sul lato esterno.

La porta fu infine abbattuta nel 1925, mentre della barriera daziaria ancora sopravvivono, sui marciapiedi del viale, le due garitte, che fino a tempi recenti hanno ospitato un orologiaio e un giornalaio. Della trasformazione ottocentesca possediamo parecchie immagini fotografiche, mentre della originale porta rinascimentale possiamo farci un’idea abbastanza precisa grazie ad alcune illustrazioni sette-ottocentesche e ai rilievi eseguiti verso il 1859, in vista della ristrutturazione della porta, da Giuseppe Jappelli (oggi ai Musei Civici) e da Giambattista Cecchini (Archivio di Stato di Padova, segnalati da Antonio Boscardin).

I Musei Civici conservano gli stemmi dei rettori e una serie di blocchi in pietra che formano l'iscrizione eponima, provenienti dalla facciata esterna della porta, segnalati da Franco Benucci, che ne ha proposto l'ipotetica collocazione (vedi la bibliografia).

U. Fadini 9/2009, rev. 11/2015


Per ulteriori approfondimenti:

A. Boscardin, Alla ricerca di una porta scomparsa, in Padova e il suo territorio, n. 75,  ottobre 1998)

F. Benucci, Porte e bastioni: le mura tra funzione e rappresentazione, in Padova è le sue mura, a cura di V. C. Donvito, U. Fadini, catalogo della mostra (Padova 28 marzo - 20 luglio 2014), Biblos, Cittadella (PD) 2014, p. 127-133

 

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La barriera ottocentesca con la porta ristrutturata

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Le sculture della porta in versione ottocentesca reimpiegate dopo la demolizione per il portale d'ingresso della Fiera Campionaria

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Prima porta patavina a essere terminata (nel 1517), probabilmente su disegno dell'architetto luganese Sebastiano Mariani, la porta è dedicata al capitano generale Bartolomeo d'Alviano, morto il 7 ottobre 1515. Essa è infatti anche nota come porta Liviana.
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E' un prisma cubico di 16 m di lato, con gli archi del passaggio sottolineati, sulle due facciate contrapposte, da paraste, trabeazione e timpano modellati nella pietra d'Istria. Si tratta di una delle prime connotazioni di esplicito significato architettonico che compaiono nel complesso fortificato padovano. Ma che prevalga la funzione utilitaristica non sembra dubbio, se solo si osservano le profilature del timpano tagliate dai passaggi per i tiranti dei due ponti levatoi, carraio e pedonale: gli spigoli dell'opera sono rinforzati da conci lapidei irregolari.
Le superfici esterne in mattoni sono divise in tre fasce orizzontali da un cordone mediano in pietra tenera e da una cornice di gronda in calcare istriano; nella zona di mezzo si aprono due finestre per lato, che illuminano il locale al primo piano. Sopra la cornice, che raccoglieva l'acqua piovana dalla terrazza di copertura, si allunga il parapetto, arrotondato in sommità, nel quale si aprono le feritoie delle cannoniere.
Sopra il vertice del timpano esterno, tra le due finestre del piano superiore, è collocata un'architrave sostenuta da tre mensole che reggeva il leone di San Marco: vi si legge incisa la dedica al prefetto Giuliano Gradenigo, capitano di Padova nel 1517. Un ponte a tre arcate laterizie di 5 m di luce ciascuna e 10 di larghezza attraversava il fossato fino ad un ponte levatoio, che è stato poi sostituito con una quarta arcata in mattoni larga solo 6,5 m. Oggi esso si trova interrato sotto l'asfalto del piazzale.
Lo spazio interno è quadrato, con volta a botte lunettata; la porzione orientale è stata ritagliata con una tamponatura muraria per ricavare locali più confortevoli per il corpo di guardia. Il primo piano, accessibile tramite una stretta scala a chiocciola, è racchiuso da una volta a botte semicircolare che regge la terrazza di copertura ed è illuminato da otto finestre alquanto strombate in larghezza. Le feritoie sul parapetto sono state ricavate nella sola porzione esterna alla linea delle cortine; una delle due aperture frontali è chiaramente orientata sulla via esterna per Chioggia, l'odierna via Facciolati, che non è ortogonale alla porta.
La porta appare oggi slegata dalla cortina muraria e si presenta quindi come monumento isolato. Originariamente le mura si legavano ai lati della porta dove oggi si possono notare due nicchie semicircolari. Le brecce furono aperte per esigenze di viabilità e inizialmente, essendo le mura anche confine daziario fino agli anni '20 del Novecento, erano dotate di cancelli metallici.

(testo tratto da A. Verdi, Porte, bastioni, cortine, in G. Mazzi, A. Verdi, V. Dal Piaz, Le Mura di Padova, Il Poligrafo 2002, con integrazioni)

 

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Iconografia storica di porta Liviana
Canaletto e Bellotto

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Marino Urbani

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Foto d'epoca

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La facciata esterna

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La facciata verso la città

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L'interno

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Contemporanea della porta Liviana, alla quale assomiglia per dimensioni e carat­teristiche costruttive, è attribuita anch'essa a Sebastiano Mariani da Lugano. È collocata lontana dal preesistente sbocco del borgo Santa Croce verso il Bassanello, deviando e allungando il percorso di più di 200 m, per motivi di controllo e sicurezza interna, ma forse anche per dividere a metà, con un punto forte, la distanza tra i torrioni dell'Alicorno e di Santa Giustina: ciò che sarà compiutamente realizzato solo nel 1554 con la costruzione del vicino baluardo.
Rispetto alla più severa porta Liviana, la porta di Santa Croce presenta una composizione architettonica più elaborata. Un ordine ionico gigante, realizzato con lesene in trachite che fungono anche da rinforzi an­golari dell'edificio, sostiene la cornice di coronamento, sormontata solo dal parapetto curvo della terrazza con le feritoie. Un più appariscente motivo classico dell'arco trionfale, realizzato con la bianca pietra istria­na, campeggia isolato nella porzione centrale delle facciate contrapposte. La tripartizione verticale è ottenuta da due ordini di lesene, delle quali quelle esterne appaiono un po' sperdute nel campo murario laterizio, mentre quelle centrali sono unite cromaticamente all'arco centrale mediante un omogeneo rivestimento in pietra d'Istria.
Al centro dell'architrave esterno è incisa la scritta commemorativa del prefetto Giuliano Gradenigo e la data 1517, mentre sui fregi esterno e interno è scolpita la dedica Sancte Crucis. Alle due estremità dell'attico, entro l'ordine binato, sono inserite due finestre sul fronte esterno, e due nicchie su quello interno. Sulla facciata verso città sono inserite le statue di San Prosdocimo e San Girolamo. Al cento dell'attico esterno al posto del leone abbattuto, una scritta ricorda l'ingresso a Padova di Vittorio Emanuele II nel 1866. I due passaggi per i sostegni del ponte levatoio tagliano verticalmente fregio, attico, cornici e parapetto. La fessura del levatoio pedonale è in­vece a sinistra dell'arco.
Lo spazio interno è un quadrato di 9 m di lato, sormontato da una volta a botte. Una porta sul fianco interno orientale si apre su una scala ricavata nello spessore murario che conduce al piano della copertura. In origine nessuna delle porte di Padova aveva l'attuale tetto a spioventi che fu aggiunto successivamente quando venne meno l'utilità militare delle piazze di tiro sopra le porte. La sala della piazza superiore è oggi occupata da una cabina di trasformazione dell'illuminazione pubblica.
Il ponte esterno alla porta è il più lungo del fronte bastionato, data la sua vicinanza col grande baluardo di Girolamo Sanmicheli. È composto di quattro arcate grandi, due piccole e da quella più stretta corrispondente al ponte levatoio. Purtroppo è in gran parte interrato.

(testo tratto da A. Verdi, Porte, bastioni, cortine, in G. Mazzi, A. Verdi, V. Dal Piaz, Le Mura di Padova, Il Poligrafo 2002, con integrazioni)

 

 

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La facciata esterna

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La facciata interna

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Il fianco nord-est

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Gli interni

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Il ponte e l'alicorno

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La porta, opera dell'architetto Giovanni Maria Falconetto, venne completata nel 1530; negli stessi anni il Falconetto seguiva anche la costruzione dell'Odeo Cornaro, del quale non può sfuggire la somiglianza planimetrica dello spazio interno ottagonale, con le quattro nicchie semicircolari sui lati ruotati di 45° rispetto ai percorsi e la copertura a padiglione con otto spicchi.

Rispetto alla porta San Giovanni, di due anni precedente, la facciata esterna, sempre tripartita e poggiante su una base scarpata, si distingue per il contrasto cromatico delle due coppie di colonne chiare in pietra d'Istria sul fondo della muratura scura in trachite.

Nel prospetto interno le colonne bianche sono solo le due estreme. Nel concio in chiave del portale a tutto sesto ester­no è scolpito il busto di un guerriero raffigurante il dio Medoacus, mentre in quello interno la protome allude alla città stessa. Ai pedoni era riservato il passaggio a sud di quel­lo carraio: ma per la simmetria dello schema di riferimento, che è quello dell'arco di trionfo romano, la composizione architettonica è completata con un ulteriore passaggio, mai aperto, anche a nord.

Sopra queste porte laterali, sia dall'esterno sia all'interno, sono scolpiti in rilevato quattro grandi scudi in trachite con l'inserzione al centro di medaglioni chiari in pietra d'Istria, raffiguranti divinità della campagna all'esterno (Bacco e Cerere) e cittadine all'interno (Minerva e Nettuno). Il piano attico è riservato alle dediche e alle celebrazioni, con le armi dei rettori, il leone marciano all'esterno e una grande iscrizione all'interno con la data del 1530 che ricor­da il doge Andrea Gritti.

I due stemmi esterni appartengono a Paolo Trevisan, podestà nel 1529, e a Priamo da Lezze, capitano dal 1529 al 1530. Sopra la cornice dell'attico, parzialmente nascoste dal tetto, le feritoie rivelano appena la funzione anche militare della porta. Il sottotetto sull'estradosso della volta di coper­tura è raggiungibile mediante una scala ricavata nello spes­sore della muratura, ma con accesso tenuto alto da terra (oggi si raggiunge la porta con una scala fissa in legno). Per permettere il tiro di fiancheggiamento dei cannoni a pro­tezione della faccia settentrionale del baluardo Savonarola, una cannoniera angolata in casamatta è stata costruita a ridosso del fianco meridionale. Il ponte che valica il fossato, a tre arcate in laterizio, venne costruito nel 1787 in sosti­tuzione della precedente struttura lignea, sotto la prefettura di Caterino Corner, come ricorda la lapide in pietra istriana collocata sulla spalletta settentrionale dell'ar­cata mediana. Nel 1928, quando fu aperta la breccia a lato della porta, si procedette al suo restauto: in quell'occasione fu rifatto il leone marciano e venne ricostruito il ponte levatoio, demolendo l'ultima arcata del ponte settecentesco. Successivamente il ponte levatoio fu a sua volta smontato e sostituito dalla attuale passerella in legno.

(testo tratto da A. Verdi, Porte, bastioni, cortine, in G. Mazzi, A. Verdi, V. Dal Piaz, Le Mura di Padova, Il Poligrafo 2002, con integrazioni)


 

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Iconografia storica di porta Savonarola

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La facciata verso la campagna

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La facciata verso la città

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Il fianco sud

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L'interno

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Il ponte

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La cannoniera a sud della porta

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La porta Omnium Sanctorum (come si legge sull'architrave della facciata interna), detta più comunemente del Portello, riprende i nomi di entrambe le due porte orientali delle antiche mura carraresi che andava a sostituire. Il termine Portello si riferiva in modo ambivalente alla porta medievale collocata in fondo all'attuale via S. Massimo (portello = porta minore) e al porto fluviale a cui dava accesso, che di lì a poco, nel 1534, con la costruzione delle due gradinate, oggi restaurate, fu anch'esso trasferito presso la nuova porta. La nuova collocazione, piuttosto lontana della precedente, fu conseguenza dell'intenzione (poi non realizzata) di occupare tutta la testata orientale della città con il Castelnuovo. La porta fu inau­gurata il 12 giugno 1519 dal capitano Mar­cantonio Loredan e in quell'occasione venne chiusa definitivamente la porta Portello carrarese (quella di Ogni Santi era stata già chiusa ai tempi dell'assedio del 1509).

 

Il fatto che fosse la porta a cui si giungeva provenendo da Venezia spiega la sua architettura particolarmente enfatica in termini di materiali e decorazioni, rispetto alle altre porte della città.

 

La facciata esterna, rivestita in bianca pietra d'Istria, esibisce uno scenografico apparato architettonico e decorativo: quattro coppie di colonne libere suddividono la superficie in tre fasce verticali e reggono il movimentato architrave nonché quattro basi sormontate da palle di cannone in trachite, che risaltano sul campo chiaro del timpano. Altrettanto monu­mentali sono i sostegni delle colonne, visibili solo dal fiume o dal porto, formati da coppie di volute, oggi parzialmente sommerse a causa dell'aumentato livello dell'acqua (si confrontino le foto recenti con quelle di inizio secolo e con le vedute più antiche). Varie iscrizioni esaltano l'antichità della città e il suo buon governo, di cui si fa garante la Serenissima. I dadi centrali sono arricchiti dalle sculture di due leoni che sorvegliano l'ingresso.

lato_esterno

L'unico accenno alle funzioni militari è costituito dalle cannoniere sui fianchi, due originariamente a pelo d'acqua e oggi parzialmente sommerse (a conferma dell'aumentato livello dell'acqua) e altre due in sommità. Come le due porte che l'hanno preceduta, Pontecorvo e Santa Croce, è costruita a sporto rispetto alla cortina muraria, ma ad oggi è l'unica per la quale si sia potuta confermare l'esistenza delle cannoniere a pelo d'acqua, anche se ancora non sono state rilevate le relative casematte che certamente devono conservarsi sotto la porta (come avviene per le analoghe e coeve porte di Treviso).

Nel 1535, sopra il timpano, è eretta la torretta con l'orologio, sormontata dal padiglione otta­gonale in pietra di Nanto. Il prospetto interno è suddiviso nello stesso modo, ma con un partito più economico: su quattro larghe lesene in pietra ne aggettano leggermente delle altre più strette. Purtroppo anche su questo lato un porzione basamentale del prospetto si trova sotto il livello stradale. Il rive­stimento in pietra è riservato solo alla parte centrale attorno all'arco. I gruppi scultorei sulle superfici intonacate sopra le porte pedonali sono assai più tardi. Come le facciate, anche lo spazio interno è tripartito con due coppie di eleganti pilastri quadrati. Tracce di affreschi recentemente messi in luce decorano le superfici interne. Dalla porta pedonale orientale si sale al piano superiore, fino a poco tempo fa adibito a cabina di trasformazione elettrica per l'illuminazione pubblica.

 

Il ponte esterno a quattro archi, costruito nel 1784, in sostituzione del precedente di legno, nasconde con i massicci parapetti una buona parte dei motivi decorativi inferiori, che sono invece ben visibili dalle gradinate del porto. Sul parapetto a destra guardando la porta si può notare una divertente curiosità; qui sono incise sulla pietra una scacchiera e una tria, esse dovevano probabilmente servire come passatempo ai soldati di guardia alla porta o al personale addetto al dazio.

 

Le cortine murarie ai lati della porta sono state pesantemente abbassate e oggi permane solo la parte scarpata.

(pagina a cura di Ugo Fadini, testo basato su A. Verdi, Porte, bastioni, cortine, in G. Mazzi, A. Verdi, V. Dal Piaz, Le Mura di Padova, Il Poligrafo 2002, con integrazioni - ultimo aggiornamento 2/2012)

 

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ICONOGRAFIA STORICA DI PORTA OGNISSANTI

disegni e dipinti del Canaletto

 

disegni e incisioni di Pietro Chevalier

 

disegni, dipinti e incisioni di autori diversi

 

foto storiche


PORTA OGNISSANTI, GALLERIA FOTOGRAFICA

La facciata nord, sul Piovego

 

Il ponte

 

La facciata sud, verso la cittàL'interno (prima dei restauri)

 

I fianchi e le cannoniere (1997). Per immagini e rilievi della casamatta, guarda lo slideshow di Padova Sotterranea

 

L'interno (prima dei restauri)

 

Il piano superiore