(26 marzo 2016) - In un commento dell'8 marzo, riportato con molto ritardo da Gazzettino e Mattino, sollevavamo qualche ragionevole dubbio circa l'opportunità di collocare una torre colombaia a ridosso delle mura, vicino a porta Savonarola. La torre è stata nel frattempo installata. Grazie però alla disponibilità all'ascolto da parte del Settore Edilizia Pubblica, è stata collocata un po' più distante dalle mura di quanto previsto dal progetto, la recinzione è meno estesa e priva di siepe e in definitiva l'impatto visivo risulta alquanto mitigato rispetto alle previsioni iniziali.
Ma il punto non è questo. Non era la torre colombaia in sé che ci preoccupava, la questione che ponevamo era di più ampio respiro e riguardava, in primo luogo, la coerenza nell'approccio al problema della valorizzazione delle mura. Che deve partire dalla conoscenza approfondita della loro struttura originaria e dalla consapevolezza del valore aggiunto che il recupero di parti della struttura oggi dimenticate può apportare. Non solo in termini di valore storico e di immagine della città, argomenti peraltro spendibili sul piano della promozione turistica, con relative possibili ricadute economiche. Ma anche, nel caso delle fosse, in termini di pubblica utilità, di soluzione di problemi concreti per la città.
Proviamo a spiegare.
Le fosse come elemento essenziale del sistema-mura
Cosa sono, o erano, le fosse? Non si tratta dei fossati, che correvano, e in qualche caso corrono ancora, lungo le mura (anche se quello che le accompagna a ovest si chiama oggi Fossa Bastioni). Erano invece quelle ampie fasce di terreno, larghe qualche decina di metri, che accompagnavano all'esterno le mura, là dove queste non erano bagnate dai corsi d'acqua (Piovego e Tronco Comune / Tronco Maestro del Bacchiglione): dunque per la gran parte del loro perimetro. Scavate a livello dell'acqua dei fossati (si spiega così l'esistenza dei ponti all'esterno delle porte, necessari per superarle), in caso di pericolo potevano essere facilmente allagate, bloccando e facendo tracimare l'acqua dei fossati. La terra, tenuta rigorosamente a prato, si trasformava rapidamente in fango, rendendo arduo l'assalto alle mura.
Le fosse erano dunque componente essenziale di un sistema di cui il muro non era che un elemento fra i tanti che, nell'insieme, costituivano "le mura". In questo senso dicevamo nell'articolo, e ripetiamo di continuo, che le mura non sono (solo) un muro.
Nel corso dell'ultimo centinaio d'anni le fosse sono state quasi ovunque interrate e in gran parte occupate da edifici pubblici e privati, salvo brevi tratti, come fra Baluardo Cornaro e torrione Buovo, l'unico che conservi un livello prossimo a quello originario, o lungo via Cernaia, in situazione più compromessa, ma facilmente recuperabile.
Non è difficile rendersi conto di quanto diverso sarebbe l'impatto visivo delle mura se fossero ancora circondate dalla fossa. Si pensi al torrione della Gatta, ridotto a un muro di pochi metri, perché altri due o tre sono oggi nascosti sotto il livello del suolo, e lo si confronti col Saracinesca, che, se non ha più la fossa estesa attorno, ha però ancora l'acqua a lambirlo, almeno parzialmente. Senza contare che edifici e altre strutture sorti sulla fossa colmata, nascondono alla vista lunghi tratti di mura. Liberare per quanto possibile la fossa, perlomeno dagli edifici pubblici, quando privi di valore storico o estetico, e riportarla al livello originario è uno degli obiettivi indicati dal Piano per il Parco delle Mura, stilato dalla nostra associazione e fatto proprio dall'Amministrazione comunale.
Le fosse come opportunità per la salvaguardia della città
Uno dei problemi più gravi per la città di Padova, come tutti sanno, è il rischio di inondazioni, in caso di piena del Brenta e del Bacchiglione (ma sovente anche per piogge localizzate, brevi e intense). Riscavare le fosse, dove possibile, doterebbe la città di una fascia di bacini di compensazione, nei quali raccogliere parte dell'onda di piena o della pioggia intensa, garantendo, non certo la soluzione definitiva del problema, ma perlomeno un maggiore margine di sicurezza e, nei casi più gravi, qualche ora in più di tempo prezioso per adottare altre misure d'emergenza.
È un'idea che già il precedente studio del 1986 segnalava, ma la cui utilità, oggi che la città si è espansa oltre misura, appare oggi ancor più evidente.
Quando parliamo delle mura come risorsa, e della necessità di considerarle nel loro insieme, recuperandone aspetti e opere che non possono essere considerate secondarie, parliamo anche di questo.
Ecco dunque perché anche la semplice installazione di una torre colombaia ci allarma tanto: costituisce un ulteriore, se pur piccolo, ostacolo alla realizzazione di un obiettivo che a nostro modo di vedere è fondamentale, per il futuro delle mura, ma dunque anche della città, quanto il restauro di cortine e bastioni.
Comitato Mura di Padova
(U. Fadini)
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La torre colombaia installata quale chiorno fa nei pressi di porta Savonarola, nell'area della fossa
L'area della fossa nel fotopiano e in una foto del 1930
L'intervento del Comitato Mura riportato dalla stampa cittadina nei giorni scorsi (qui la versione originale)