Adriano Verdi
La Reggia carrarese [1]
Le vicende architettoniche del complesso trecentesco
Descrizione dell’esistente
L’area occupata dagli edifici eretti a Padova dai signori da Carrara per loro residenza e per lo svolgimento delle funzioni di corte durante il 14° secolo è probabilmente quella ancor oggi delimitata a sud da via Arco Valaresso e piazza Duomo, a est da via Monte di Pietà, piazza dei Signori e via Dante, a nord da via San Nicolò e a ovest dalle vie Dondi dall’Orologio e Accademia. Si tratta di un’area di ben 28.767 mq con un perimetro di 725 metri.
Rispetto alle delimitazioni fornite da Andrea Gloria [2] e condivise dagli studiosi successivi [3] che hanno sempre lasciato fuori la chiesa di S. Nicolò, perché parrocchia già nel 1178, io preferisco comprendere nel perimetro anche l’edificio fatto costruire da Montorso, figlio di Guglielmo Montorsi, familiare di Francesco il Vecchio, ricordato da una lapide collocata nella parete su via Dante. Durante i lavori di conservazione e restauro di quell’edificio, oltre agli affreschi con i cimieri carraresi, sono apparsi all’interno resti di merlature, tamponate sulla sommità della muratura d’ambito intermedia, quella che separa la porzione più alta dell’edificio da quella più bassa lungo via San Nicolò.
Questo ritrovamento sposterebbe quindi i limiti della reggia più a nord, regolarizzandone il margine, pur lasciando eventualmente fuori la chiesa. Ma si tratta pur sempre di un’ipotesi perché il ritrovamento potrebbe anche significare, più semplicemente, che Montorso si è costruito una casa merlata in adiacenza alla curia carrarese, come del resto sembrerebbe testimoniare l’indipendenza della struttura a barbacani della parte dell’edificio addossata a nord alla parte più antica [4].
Il muro di cinta fortificato dell’insula carrarese si conserva visibile con gran parte delle caratteristiche originarie solo all’angolo sud occidentale, tra via Arco Valaresso e via Accademia [5].
La cortina muraria che appare all’esterno, formata da blocchi di trachite alternati a due o tre corsi di mattoni, ha uno spessore di 77 centimetri (circa due piedi padovani) ma è munita di contrafforti interni collegati da volte, che allargano lo spessore complessivo a circa tre metri, capace di sostenere un percorso di ronda merlato all’esterno e munito di parapetto all’interno. La quota del pavimento di trachite del passaggio è collocato a circa sei metri d’altezza da terra, cioè alla quota del primo piano della loggia. Da questa, infatti, si distaccano due arconi di sostegno del primo tratto del traghetto, ancora interno al palazzo, in evidenza nella muratura ad ovest del porticato.
Il tratto meridionale del muro di cinta è affiancato da speroni progressivamente decrescenti in altezza andando verso est, per sostenere una discesa del percorso di ronda fino a terra con una rampa continua, percorribile anche dai cavalli, segnalata da Giorgio Baroni [5], in analogia con quella scoperta nel Castello, all’interno della cortina di epoca comunale, a ovest della casa del Monizioniere [6].
In seguito ai restauri della sede dell’Accademia compiuti dal 1966 al 1969 su progetto e direzione di Alessandro Tambara [7] e a quelli dell’integrazione meridionale progettati e diretti da Giorgio Baroni dal 1986 al 1987 [8], i resti del palazzo occidentale di Ubertino si presentano oggi accessibili attraverso un passaggio coperto a volta, malamente aperto a fine Ottocento in via Accademia proprio in corrispondenza del punto ove il traghetto si distaccava dal muro di cinta della reggia.
I due portici sovrapposti della loggia, formati da nove colonne per piano, danno l’impressione di grande apertura e leggerezza. Le colonne sono molto slanciate, in particolare quelle del piano terra, più alte di quelle del piano superiore, che però sono collocate sopra il parapetto. Inoltre, osservando con attenzione si nota che le colonne non hanno tutte lo stesso diametro: alle cinque di diametro maggiore, a partire dalle estremità, si alternano quattro più sottili, con un gioco raffinato che si riscontra anche nel loggiato del palazzo della Ragione, realizzato una trentina d’anni prima da fra’ Giovanni degli Eremitani.
All’interno della loggia l’edificio ospita l’Accademia Galileiana, fondata come Accademia dei Ricovrati nel 1599. L’attuale ingresso a ovest, sottoposto alla cappella di palazzo, era nato come portico aperto verso occidente, decorato nella parte alta della parete interna, sopra gli archi ribassati, con un fregio a fresco ove si alternano lunette e occhi con rosoni, ombreggiati in modo da dare l’illusione di un partito architettonico [9].
A sinistra si entra nella sala di lettura della biblioteca, un tempo anticamera dei Cimieri, alta quasi sei metri, con decorazione a fresco sulla parete sopra all’ingresso e su quella di fronte, sopra la porta che conduce nella camera dei Carri. I cimieri si alternano ai carri rossi entro dei tondi, a loro volta racchiusi da una decorazione geometrica intrecciata. La cornice sotto il soffitto è dipinta a chiaroscuro, col motivo degli archi trilobati retti da mensole dal volto umano, a forte effetto prospettico.
Nella più piccola camera dei Carri la cornice è formata, invece, da mensole che danno l’illusione di aggettare dalla parete. Al di sotto la decorazione imita una stoffa più morbida, rispetto all’anticamera dei Cimieri, nella quale sono sempre alternati cimieri e carri, questi entro scudi bianchi, anziché entro i tondi.
Procedendo verso est si giunge al vano della scala che conduce ai piani superiori. Questo locale è quanto resta al piano terreno della stanza di Lucrezia e al primo della stanza degli Ufficiali, tagliate a metà nel 1878 con l’edificazione delle scuole “Carraresi” di Camillo Boito.
Al piano superiore, dopo un locale posto sopra alla camera dei Carri, si passa in un secondo di analoghe dimensioni e finalmente nella sala delle adunanze dell’Accademia, nata dall’improvvida demolizione nel 1779 della parete est della Cappella dei Carraresi, con la parete occidentale affrescata da Guariento di fronte all’ingresso. Nelle scene dipinte sono raccontate storie dell’Antico Testamento.
Il soffitto era decorato con una serie di tavole rappresentanti gerarchie di angeli attorno ad una Madonna col Bambino, ora in parte conservate e ricomposte al Museo Civico.
Sulla parete orientale della sala sono esposti altri due affreschi, staccati dalla parete demolita della cappella palatina, con le scene di Adamo ed Eva davanti al Creatore e di Giuseppe che interpreta i sogni del faraone.
Testimonianza ormai sbiadita della curia carrarese, la sala degli Uomini illustri, o degli Imperatori, è chiamata dei Giganti dal 1540, quando il capitano di Padova Girolamo Cornaro promuove la sua ristrutturazione, su probabile progetto di Michele Sanmicheli, e quindi il rifacimento della decorazione pittorica.
Destinata a Pubblica Libreria dello Studio padovano dal 1632 al 1912, perduto il collegamento col palazzo carrarese a sud, a causa della demolizione della corte d’Onore nel 1877, la sala degli Uomini illustri è lambita nel 1937 anche dalla demolizione dei fabbricati contigui verso nord, destinati a depositi per i libri, che la separano dalla Corte del Capitaniato. Al loro posto sorge nel 1939 la nuova Facoltà di Lettere, opera dell’architetto Gio Ponti.
L’idea di rappresentare gli uomini illustri nella maggiore delle sale curiali dei Carraresi risale a Francesco il Vecchio, che trae gli argomenti per glorificare la virtus romana dal De viris illustribus, l’opera storica lasciata incompiuta da Francesco Petrarca e riassunta da Lombardo della Seta.
Dei 36 dipinti originari compiuti da Guariento, Altichieri da Zevio, Ottaviano Prandino da Brescia e Jacopo Avanzo rimangono solo i ritratti di Francesco Petrarca e Lombardo della Seta sulla parete occidentale. Le raffigurazioni attuali sono eseguite nel 1540 sulla falsariga delle precedenti, ormai deteriorate, e sono opera di Domenico Campagnola, Girolamo Gualtieri e Stefano dell’Arzere. Le 44 grandi figure di re, imperatori, consoli e dittatori romani sono inquadrate dal motivo architettonico delle colonne doriche che reggono la lunga cornice e il soffitto a cassettoni. Alla base le scene a chiaroscuro e le lunghe scritte raccontano la storia di ciascun personaggio.
Del palazzo “nuovo” di levante, restano probabilmente le strutture murarie della parte centrale, visibili da nord nello stretto cortile tra la loggia angolare, attribuita ad Andrea Moroni, e l’ampliamento interno del palazzo dei Conservatori, sul luogo della scala esterna ad L ancora presente nei rilievi settecenteschi. Ma visibili soprattutto da sud, con le cinque arcate a tutto sesto del portico, sostenute da alti pilastri in muratura.
Qui, dietro i due archi del portico che si affacciano sulla corte Arco Valaresso, restano ancora le spesse murature della torre meridionale d’ingresso alla reggia, il cui vano al primo piano fungeva da vestibolo alla perduta sala Tebana verso ovest e ora solo alla sala delle Edicole verso est. I resti delle archeggiature sopra le edicole, somiglianti a quelle sulla sommità di porta Molino, dimostrano che questo era il fronte orientale della torre aperto verso l’esterno.
La muratura laterizia non ancora intonacata del recinto della reggia, tra il Palazzo del Capitaniato e il Monte di Pietà, era ancora visibile sullo sfondo a destra in una foto della loggia della Gran Guardia datata circa al 1860 [10].
La consistenza originaria
Ubertino da Carrara, nominato signore e capitano generale di Padova il 10 marzo 1338, è ricordato dai cronisti per aver temperato la sua tirannia con diversi provvedimenti a favore della città e del territorio, come le mura della seconda corona e quelle del sobborgo d’Ognissanti, le pavimentazioni in trachite di alcune strade, il lanificio, la cartiera di Battaglia, la via per Camposampiero, il canale da Este a Montagnana, il castello di Este e, in particolare, la sua regale residenza prefettizia, chiamata, appunto, da Bernardino Scardeone “la reggia carrarese” [11].
Sull’attribuzione a Ubertino gli autori del tempo sono concordi. “Fe’ costui fare la corte e i pozuoli e quelle magne stancie che anchuodì se vede” annota Galeazzo Gatari [12]. “Lo stupendo palazzo recintato fu completato nel 1343 dal signor Ubertino” riporta Guglielmo Cortusi [13]. Mentre Pier Paolo Vergerio scrive che Ubertino “fece erigere nella residenza (dove un tempo Cangrande aveva iniziato la sua reggia) un portico quadrato con altissime colonne e lo volle di due piani, in modo da poter passeggiare a terra e in alto, riparato dalla pioggia. Nella parte interna della casa fece fare anche un altro portico, con la distanza tra le colonne pari all’altezza, formato da due soli lati rivolti verso settentrione e occidente, in modo che la visuale fosse libera verso quelle zone del cielo. Fece collocare sulla sommità della torre un orologio, il quale indicasse automaticamente di giorno e di notte gli spazi delle ventiquattr’ore” [14].
Nella cronaca dei Gatari s’incontra talvolta la citazione di qualche luogo facente parte della reggia. Ad esempio nel “bruollo dai pozuolli di soto” [15] cioè nel frutteto adiacente ai parapetti del portico inferiore, il 18 luglio 1355 si svolge l’episodio dell’arresto di Giacomino da Carrara per ordine del nipote Francesco il Vecchio, che era stato eletto per governare assieme allo zio nel dicembre 1350. Il 25 giugno 1386 è poi descritta la scena di Francesco il Vecchio che, alla notizia della rotta, poi rientrata, del suo esercito alle Brentelle sbatte per ira il cappello sul parapetto della loggia vicina alla cancelleria, dentro la corte [16]. Il 18 giugno 1390 è menzionata la “grande salla de l’inperadori, nela corte” dove si svolge il gran consiglio di tutti i cittadini di Padova [17].
Nella continuazione del Liber regiminum, alla data del 19 dicembre 1350, è ricordato l’assassinio di Giacomo II da Carrara, pugnalato da Guglielmo, figlio naturale di Giacomo I, mentre si scaldava un piede rivolto verso il camino nella stanza di Nerone [18].
Ma la maggior parte dei nomi delle stanze originarie della reggia ci vengono dai documenti d’archivio pubblicati in estratto da Andrea Gloria nel 1878 [19].
Poiché gran parte degli edifici sono andati distrutti, si può tentare una loro parziale ricostruzione solo mettendo a confronto la situazione attuale con le piante del complesso rilevate prima delle demolizioni ottocentesche, in particolare con quella del perito Giovan Battista Savio del 1729, nella riproduzione fatta ridisegnare nel 1936 dal rettore Carlo Anti [20], con quelle anonime del piano terra e dei piani superiori, conservate nella Biblioteca Civica [21], quelle del fondo Pivetta all’Archivio di Stato [22] e quelle jappelliane del Museo Civico [23].
Procedendo da ovest verso est, cioè dall’attuale via Accademia (già contrada dietro Corte) verso piazza dei Signori, nei documenti dell’epoca si trovano citati prevalentemente i posti che potevano essere frequentati dal pubblico ristretto dei dignitari di corte o degli ospiti, prima di tutto gli spazi esterni del brolo dei signori o viridario o cortile posteriore (in epoca veneziana semplice cortile prativo, detto praetto) con la loggia a due piani, (oggi detta dell’Accademia) delimitata da poggioli o parapetti anche al piano terreno, chiamata esterna per distinguerla da quella interna del quadriportico, sempre a due piani, detta anche chiostro o chiostro grande col pozzo e, più tardi, corte d’onore. Vi è poi il cortiletto al piede della scala lapidea che porta ai poggioli superiori (probabilmente nello stesso luogo dell’attuale scalone dei Giganti, costruito nel 1607 da Vincenzo Dotto), il cortile maggiore esterno (poi corte Capitaniato) e il cortile vicino alla stalla dei cavalli.
Il palazzo occidentale, detto anche vecchio, destinato prevalentemente da Ubertino alla propria residenza, era collegato al palazzo di levante, o nuovo – destinato alla residenza di Iacopo II – mediante un edificio centrale con peristilio interno, anch’esso detto nuovo nel 1347, che sul lato sud del piano superiore dava accesso alla sala Tebana [24], detta così per gli affreschi ispirati alla Tebaide di Stazio, e dirimpetto, a nord, alla sala degli Uomini illustri (chiamata anche sala degli Imperatori e poi dei Giganti e Biblioteca pubblica) nominata a partire dal 1382, mentre dal 1390 si cita una sala nuova degli uomini illustri. In capo alla sala Tebana, verso la cancelleria, si apriva una sala più piccola con “pitture a fresco de chiaro e scuro che contengono li fatti d’arme delli Carraresi” [25]. Al piano terreno, sotto alla sala Tebana , vi era la sala delle Bestie (quella maggiore con tre pilastri mediani) con la vicina stanza di Camillo, descritta da Angelo Sacchetti nel 1878, prima della sua distruzione [26].
Questa aveva accanto una stanzetta con stufa dove si conservava l’argenteria. La camera col camino dipinto con le storie di Ercole, detta stanza di Ercole, sede della cancelleria signorile, aveva delle finestre affacciate nel cortile grande esterno, poi corte Capitaniato.
La camera di Lucrezia, sempre al piano terra, era invece affacciata verso i poggioli esterni del verziere e faceva quindi parte delle stanze del palazzo vecchio occidentale, ed era vicina alla camera dei Carri. Al piano superiore del palazzo occidentale, sopra la stanza dei Carri, vi era la camera degli Ufficiali e, all’estremità ovest, la chiesuola, della quale è rimasta solo parte della parete affrescata occidentale.
Sono ricordate nei documenti d’inizio Quattrocento anche una camera delle navi, una camera delle Brentelle e una camera dell’Inferno. Altre stanze di difficile collocazione sono menzionate nei documenti d’epoca carrarese: le cucine, una loggia del bersaglio, una camera decorata a quadri, una delle prestanze per gli stipendiati sia equestri che pedestri, una del fattore, una di masseria, una per l’amministrazione dei beni, sia quelli del signore sia quelli del Comune di Padova, una delle armi, una degli operai, una delle scuole, ecc.
In conclusione, nelle citazioni d’epoca carrarese i locali sono identificati o dal loro notevole apparato decorativo o semplicemente dalla funzione che vi si svolgeva.
Dei documenti posteriori alla fine della signoria carrarese, ma precedenti alle trasformazioni cinquecentesche, va ricordato il Libellus, scritto attorno al 1446 dal medico Michele Savonarola [27]. Depurata dall’eccessivo uso dei superlativi, la descrizione di quella che è oramai diventata la curia del Capitano, menziona la porta d’ingresso sopra la quale è fabbricata una torre ornata con figure dipinte e conclusa con l’orologio che segna le ore del giorno e della notte e mostra anche le fasi della luna e del sole con i segni dei pianeti di quel giorno e di quell’ora. Conferma poi la presenza di due logge, una quadrata con colonne di marmo e con in mezzo il pozzo, di una stalla per trecento cavalli e di magnifiche cucine. Salite le scale d’onore si giunge in una loggia, che ha l’affaccio verso entrambi i cortili, circondata da parapetti, colonne di marmo e magnifiche finestre. Ai loro lati sono situate due amplissime sale dipinte, una detta dei Tebani e l’altra degli Imperatori. Nella residenza, degna appunto di un imperatore, vi sono stanze d’abitazione, camere per gli ospiti, uffici per gli amministratori, con una capacità complessiva di quattrocento posti. È infine nominato il traghetto, che conduce alle mura, protetto da merli da entrambi i lati, lungo un quarto di miglio e largo dodici piedi.
Le trasformazioni
Alcune conferme e le prime notizie sulle trasformazioni operate nel frattempo dai rettori veneti nel palazzo e corte del Capitanio sono fornite da Angelo Portenari nel 1623: “Vi si ascende per una scala, che è stata rifabricata, & adornata molto magnificamente da Pietro Moresini Capitano della città nell’anno 1611.
Ha camere, e stanze nobilissime, e molte sale veramente regali, una delle quali è nell’ingresso ridotta a gran splendore, e magnificenza l’anno 1607 da Giovanni Malipiero Capitano della città, l’altra è di grandezza notabile chiamata la sala verde, la terza è detta la sala de i giganti, perché in lei da dotta mano si vedono dipinte le imagini de gl’Imperatori Romani con statura di gigante, sotto le quali sono le vite loro composte con maravigliosa brevità e stile purgatissimo… Ha un atrio, o claustro con duplicata loggia, o portico, l’uno sopra dell’altro, li quali sono sostentati da settantadue colonne [erano invece 31 per piano] di marmo rosso con travature, e soffittati di legname fatti con gran diligenza. Appresso questo claustro dalla parte di Occidente si vede cominciato un altro claustro simile, dalla loggia superiore del quale si passa alla prima cinta delle mura per un corridore già chiamato il traghetto, il quale è fondato sopra dieci larghissimi & altissimi archi di pietra cotta… Ha questo palazzo dal Settentrione una spatiosa piazza chiamata la corte cinta di muraglie a modo di castello, e circondata da case, ove già (come hora) abitavano le guardie, la Corte del prencipe, & altri ministri publici. Nuovamente è stata abbellita di molte fabriche, che hanno la veduta sopra la piazza della Signoria, come sono le case delli Camerlenghi, e l’appartamento regale del Capitanio, fabriche fatte ne gli anni 1600, 1605 da Antonio Priuli già Capitanio di Padova, & hora Serenissimo Doge di Venetia, e da Stefano Viaro parimente Capitanio di questa città.
Ha questa corte due porte, che si risguardano, ma quella, che è verso la piazza, ha del regale sì per la grandezza, sì per gli adornamenti di colonne, e d’altri marmi, la quale fu fatta essendo Andrea Gritti Doge di Venetia. Sopra questa porta è una bellissima torre coperta di piombo, nella quale è quello artificiosissimo horologio, il quale oltra il battere, e mostrar dell’hore, mostra il giorno del mese, il corso del sole nelli dodeci segni del Zodiaco, li giorni della luna, gli aspetti dell’istessa col sole, & il suo crescere, e scemare...” [28].
Nel 1728 il capitano Francesco Corner incarica il perito Giovan Battista Savio di “portarsi sopra luoco in tutti li siti e quartieri di questa città ove sono poste case di pubblica ragione et ivi fare una descrittione d’ognuna d’esse nelle maniere più distinte che le saranno ordinate dal sig. Paulo Giustachini fiscalista di questa magnifica ducal camera, dovendo inoltre poner le case suddette a quartiero e quartiero in pianta con disegno ben distinto, et con le sue misure, e confini, che servir possa a perpetuo pubblico lume…” [29]. Mentre la descrizione dei locali è conservata manoscritta nella Biblioteca Civica, l’originale del rilievo planimetrico del Palazzo e della Corte Capitaniato, steso dal perito Savio nel 1729, è andato disperso. La copia, che qui si ripropone [30], interessa quasi per intero l’area dell’antica reggia carrarese, anche se è limitata ai soli piani terreni. Restano escluse le porzioni sud orientali del Monte di Pietà e i due angoli settentrionali, a est e a ovest di S. Nicolò.
Per ottenere notizie sulla qualità e consistenza degli edifici ancora esistenti nel XVIII secolo, piuttosto che le descrizioni di Paolo Giustachini, aventi finalità fiscali, è più conveniente seguire il dettagliato esame dei locali eseguito nel 1778 dal perito Lorenzo Corubolo, sottoscritto anche dal perito Andrea Sciotto, indirizzato ai lavori necessari per il restauro degli edifici, col relativo preventivo di spesa [31]. Seguendo l’ordine della descrizione, con alla mano le piante disponibili, s’identifica la sequenza e la denominazione delle sale.
Salita la scala maggiore del Capitaniato (quella dei Giganti), coperta di piombo con due cupolini, “passando dal Atrio che smonta la Scalla nelle prime Logie” il proto scrive che i soffitti sopra alle logge sono di “tolle cadenti”. La scala che discende in praetto, che vediamo anche nella pianta del Savio affiancata al muro occidentale del locale con la “rimessa de’ carozze”, è detta “scoperta”. Sono nominate le cinque camere sul lato ovest del loggiato interno ma “riguardanti il praetto” e poi i due scuri da farsi per i “finestroni riguardanti la Corte del Capitaniato” (evidentemente quelli della bifora ancora esistente all’angolo nord-est del loggiato). Passato nell’altra loggia, il perito osserva che anche qui è da rifare il soffitto, “essendo di tolle”. Osservando gli attuali soffitti in tavole di legno della loggia carrarese, possiamo immaginarci l’effetto di analoghi soffitti anche sulle logge della corte interna perduta.
Proseguendo, il Corubolo nomina quattro camere e chiesetta, alle quali deve essere rifatto il coperto, e sostiene che andrebbe otturata “una porta che a un tempo si passava alla mura vecchia, essendo ora superflua” (cioè l’ingresso al primo tratto del traghetto sopra i due arconi che oggi si vedono tamponati nella parete a ovest della loggia).
“Ritornando da detta [loggia] nelle altre [logge] su nominatte s’entra in un salotto per il quale si passa nella Cancellaria Prefeticia”: qui son da rifare quattro finestre. “Da detta Loggia si passa nel Salon Verde” dove bisogna “accomodar li scuri delli cinque finestroni”. “Nell’anticamera del detto… si passa ad una Loggia scoperta con suoi pozi di ferro”. “Ritornando nel Atrio che smonta la Scalla Maggiore si passa previo una scalinata di pietra in salla… Da detta salla si passa nella prima Camera del Appartamento Nobile.” Unendo queste annotazioni con quelle più antiche, sembra di poter dedurre che il salone Verde fosse la sala Tebana, mentre l’anticamera di collegamento con la cancelleria fosse il locale entro l’antica torre meridionale, probabilmente quello affrescato con i chiaroscuri dei Carraresi. La sala con accesso dalla scala (semicircolare) di pietra è quella delle Edicole, dalla quale si accedeva alle camere della cancelleria.
Nel corso del Settecento si segnalano anche altre descrizioni di lavori da eseguire come quelle del perito Corubolo e fatture di riparazioni avvenute soprattutto nei quartieri che servono alla milizia della guardia al piano terra [32] e nella Cancelleria Prefettizia superiore e di abitazione alli Ministri dello stesso Offizio [33] più che nelle residenze del Capitanio e dei Camerlenghi, ricavate con grandi lavori nel corso del Cinquecento nei fabbricati prospicienti la piazza dei Signori.
Dopo la distruzione del traghetto nel 1777, su richiesta dei proprietari dei palazzi e dei giardini attraversati dalla via pensile [34], le altre demolizioni, suddivisioni e vendite all’asta ebbero tutte luogo nel corso del XIX secolo, fino al vincolo del 16 febbraio 1880, posto anche sul “Palazzo e corte del Capitaniato” dalla Commissione conservatrice dei monumenti, oggetti d’arte e antichità. Nel 1820 il Demanio austriaco mette in vendita, tra l’altro, la maggior parte delle colonne del portico di Ubertino rivolto verso occidente, che “acquistò il conte Nevio di Vicenza che se ne servì nella stalla di una sua villeggiatura” [35].
Dopo l’acquisto dal Demanio italiano effettuato nel 1871 delle case in rovina tra le due corti e redatti alcuni progetti con diverse destinazioni per l’area delle logge carraresi [36], nel 1873 il Comune di Padova inizia la demolizione delle “catapecchie” che s’innestavano nell’ala orientale della loggia affacciata sul praetto. Nel 1877, all’indomani della legge Coppino del 15 luglio sull’obbligo dell’istruzione primaria, il Comune incarica l’architetto Camillo Boito della redazione del progetto per un nuovo fabbricato per le scuole elementari maschili e femminili. L’anno successivo, in conformità al progetto, assai pregevole sotto ogni aspetto, tranne che in quello dell’inserimento nel contesto, sono demoliti gli edifici del quadriportico centrale con le sale meridionali, le stanze occidentali col resto del lato est della loggia e tagliate a metà le due camere sovrapposte all’estremità orientale del palazzo di ponente [37]. Con buona dose di cinismo, almeno per i nostri occhi, le scuole elementari saranno chiamate “Carraresi”.
[1] Questo contributo sulla Reggia dei da Carrara riprende il titolo della comunicazione tenuta dall’autore il 30 novembre 2007 presso l’Accademia Galileiana e il testo del saggio inserito nel volume a cura di D. Banzato e F. d’Arcais, I luoghi dei Carraresi, Treviso 2006, pp. 86-98, qui riprodotto con l’autorizzazione dell’autore e dell’editore con modifiche, con l’aggiunta delle note stralciate dall’edizione a stampa e con nuove immagini. Salvo diversa indicazione nelle note o nelle didascalie, le foto a colori sono dell'autore. torna alla lettura
[2] A. Gloria, Documenti inediti intorno al Petrarca con alcuni cenni della casa di lui in Arquà e della reggia dei da Carrara in Padova, Padova 1878, p. 12. torna alla lettura
[3] C. Gasparotto, La reggia dei da Carrara il palazzo di Ubertino e le nuove stanze dell’Accademia patavina, Padova, 1968, p. 6 e 7. G. Lorenzoni, L’intervento dei Carraresi, la reggia e il castello, in Padova case e palazzi, a cura di L. Puppi e F. Zuliani, Vicenza 1977, p. 29. G. Visentin, La reggia carrarese, in Padova e il suo territorio, n. 25, giugno 1990, p. 13 con le quattro planimetrie d’impianto del complesso nelle varie epoche. torna alla lettura
[4] G. Cagnoni, Palazzo Montorsi a Padova: analisi stratigrafica e progetto, in Galileo n. 55, maggio 1994, p. 7-10. torna alla lettura
[5] G. Baroni, Nuovi contributi alla conoscenza della “curia carrariensis”: risultati di un’analisi storico-filologica e delle ricerche e rilievi nel settore sud-ovest, Padova, 1984, p.13. Si veda anche, dello stesso autore, I resti della cinta fortificata dell’”insula” carrarese in Padova e il suo territorio n. 25, giugno 1990, p. 44-46, da cui sono tratte la foto e il disegno qui riprodotti. torna alla lettura
[6] Si veda il saggio di S. Tuzzato nel volume a cura di D. Banzato e F. d’Arcais, I luoghi dei Carraresi, treviso 2006, pp. 72-79. torna alla lettura
[7] A. Tambara, Relazione tecnica sulle opere di restauro e sistemazione della sede dell’Accademia di Scienze Lettere ed Arti nella reggia dei da Carrara in Padova, in Atti e Memorie dell’Accademia Patavina di Scienze Lettere ed Arti, anni 1968-1969, vol. LXXXI, parte I, p. 33-56. torna alla lettura
[8] G. Baroni, Il recupero e il restauro del palazzo Anselmi ad integrazione della sede dell’Accademia Patavina di Scienze Lettere ed Arti, in Atti e Memorie dell’Accademia Patavina di Scienze Lettere ed Arti, anni 1987-1988, vol. C, parte III, p. 17-21. torna alla lettura
[9] C. Gasparotto, Gli ultimi affreschi venuti in luce nella Reggia dei da Carrara e una documentazione inedita sulla camera di Camillo. Atti e memorie dell’Accademia Patavina, anno 1968-1969 Vol LXXXI, p. III, p. 237-242. torna alla lettura
[10] La fotografia, attribuita ad Antonio Perini, è pubblicata in Padova. I fotografi e la Fotografia dell’Ottocento, a cura di G. Vanzella, p. 75. torna alla lettura
[11] B. Scardeone, Historiae de Urbis Patavii antiquitate, et claris civibus patavinis, Basilea 1560, ora Bologna 1979, p. 317 (279). torna alla lettura
[12] G. e B. Gatari, Cronaca carrarese, a cura di A. Medin e G. Tolomei, R.I.S., t. XVII, P. I, Vol. I, Città di Castello, 1931, p. 23. torna alla lettura
[13] G. Cortusii, Chronica de novitatibus Padue et Lombardie, a cura di B. Pagnin, R. I. S. t. XII, parte V, Bologna 1941, lib. VIII, cap. XI, p. 106: “Hoc anno [1343] expletum fuit palatium calustrale mirificum domini Ubertini et aliud inchoatum”. torna alla lettura
[14] P. P. Vergerio, Vitae principum Carrariensium, a cura di A. Gnesotto, Padova, 1925, p. 99: “Porticum quadratam altissimis columnis in aedibus struxit, (ubi Canis grandis habere prius regiam coeperat), eamque diplicem esse voluit, ut et humi et sublimi deambulare liceret, ab imbre tectos. Aliam quoque in interiori domo, pari altitudine et intercolumniorum distantia, perfecit, quam duobus tantum lateribus constare iussit in septentrionem occasumque spectantibus, ut esset prospectus in eas coeli plagas liber. Horologium, quo per diem et noctem quattuor et viginti horarum spatia sponte sua designaretur, in summa turri constituendum locavit.” torna alla lettura
[15] G. e B. Gatari, Cronaca carrarese, cit. p. 31. torna alla lettura
[16] Ivi, p. 249. “…il prefato signore pieno d’intollerabile dolore s’avia più volte di capo tratto per ira il cappello e di quello datto sopra la sega di la logia, dove è la cangielaria, dentro la corte e con i denti rodando con isdegno…” torna alla lettura
[17] Ivi, p. 408. torna alla lettura
[18] Liber regiminum Padue, R.I.S., t. VIII, p. I, a cura di A. Bonardi, Città di Castello 1904, p. 369. torna alla lettura
[19] A. Gloria, Documenti inediti, cit. doc. VI, p. 35-38. torna alla lettura
[20] G. Brunetta, L’isola delle facoltà di Lettere e Magistero sulle aree e tra i resti della ex-Reggia dei Carraresi in Gli interventi dell’Università di Padova nel riutilizzo di antichi edifici, Istituto di Architettura dell’Università di Padova, Padova 1966, pp. 84-107. Una copia, tratta da negativo Danesin del 1959, conservato nell’Archivio fotografico della Soprintendenza ai Monumenti di Venezia, è appesa in una stanza dell’ammezzato nell’Accademia Galileiana. Un’altra copia, definita “pianta dei primi del XVIII sec. in nostro possesso” è pubblicata anche da G. Vasoin, La Signoria dei Carraresi nella Padova del ‘300, Padova, 1987, fig. 4 tra le p. 24 e 25. Da una stampa originale 18x24 della Foto Danesin di Padova, messa a disposizione da V. Dal Piaz, che qui ringrazio, è stata tratta l’immagine qui pubblicata. torna alla lettura
[21] B.C.P., R.I.P. XI, 1560 e 1561, negat. 9x12 n. 981 e 982. Pubblicate, tra l’altro, anche da G. Lorenzoni, L’intervento dei Carraresi, cit. fig. 46 e 47. torna alla lettura
[22] A.S.P., Fondo Pivetta, 65/1, 65/2, 65/3 e 65/5. torna alla lettura
[23] M.C.P., Cartolare Jappelli, cartella 49, 8978 F e 8979. torna alla lettura
[24] A. Gloria, Documenti inediti, cit. doc. VI p. 35. Anno 1347. “In palacio habitationis domini Jacobi de Carraria Padue et districtus domini generalis in eius sala nova superiori ubi depicta est ystoria Thebana”, sta in A.S.P., Corona, b. 149, 2314, num. gen. 7787: 17 luglio 1347. torna alla lettura
[25] M. A. Michiel, Notizia di opere di disegno, pubblicata e illustrata dall’abate Morelli, a cura di G. Frizzoni, Bologna 1884, p. 77: “Nella sala ultima piccola verso la casa del Cancellier, in capo alla Sala Tebana, le pitture a fresco de chiaro e scuro, che contengono li fatti de armi delli carraresi, e ordinanze ec. furono de mano de…” Cesira Gasparotto identifica questa sala con la sala verde, mentre è più probabile la coincidenza della maggiore sala tebana con quella che sarà più tardi chiamata sala verde, sede delle adunanze dell’Accademia dei Ricovrati. In C. Gasparotto, La reggia dei da Carrara, cit. p. 22, n. 63 ove ricorda che la sala verde è nominata in G. B. Rossetti, Descrizione delle pitture, sculture e architetture di Padova, Padova 1765, p. 291. Ma l’identificazione è messa in dubbio da G. Lorenzoni, L’intervento dei Carraresi, cit. p. 33, n. 22, che sposta la collocazione della sala tebana nel palazzo di ponente. torna alla lettura
[26] A. Sacchetti, Relazione d’alcune tracce d’intonaco affresco comparso in una sala terrena nella Reggia dei Carraresi con due lucidi di alcune teste presi dal medesimo dipinto, indirizzata alla Giunta Municipale di Padova il 16 Agosto 1878. Doc. all. A in: C. Gasparotto, Gli ultimi affreschi, cit. p.256-259. torna alla lettura
[27] Libellus de magnificis ornamentis regie civitatis Padue Michaelis Savonarole, a cura di A. Segarizzi, R.I.S., t. XXIV, parte XV, Città di Castello 1902, p. 49. torna alla lettura
[28] A. Portenari, Della felicità di Padova, Padova 1623, p. 104. torna alla lettura
[29] P. Giustachini, Nuovo Catastico e distinta descrizione di tutte le case che sono ed erano di pubblica ragione poste nella città di Padova…, 1729, Ms. B. P. 393. torna alla lettura
[30] V. nota 20. torna alla lettura
[31] A.S.P., Strade, piazze, mura…, b. 47 bis, L. Corubolo e A. Sciotto, Perizia sui restauri da farsi nelle Pubbliche Fabbriche, 28 ottobre 1778, c. 133-140. torna alla lettura
[32] A.S.P., Strade, piazze, …fabbriche, b. 47 bis, perito A. Giaconi, 25 luglio 1776. Sono riconoscibili dalle misure del quartier grande lungo piedi 73 e largo piedi 30 (circa m 25,5x10,5) la sala carrarese delle bestie e nell’altro quartier longo piedi 33 e largo piedi 18 (m 11,5x6,3) la camera di Camillo. torna alla lettura
[33] Ivi, perito D. Cerato, 29 luglio 1776 e S. Vidali Cornetta, 30 agosto 1784. torna alla lettura
[34] G. Rusconi, Il “Traghetto” della Reggia Carrarese, Atti e Memorie dell’Accademia di Scienze Lettere e Arti di Padova, 1928-1929, vol. XLV, parte III, p. 170. torna alla lettura
[35] A. Gloria, Pro memoria del 3 marzo 1880, doc. all. C in: C. Gasparotto, Gli ultimi affreschi, cit. p. 244. torna alla lettura
[36] T. Serena, Scuole elementari alla reggia carrarese, in Camillo Boito, un’architettura per l’Italia unita, catalogo della mostra a cura di G. Zucconi e F. Castellani, Venezia 2000, p. 98. torna alla lettura
[37] Si veda la pianta dell’isola detta ex Capitaniato disegnata dall’ingegnere comunale Francesco Turola, in A.S.P., Atti Comunali, b. 2863, 31 agosto 1877, pubblicata da C. Gasparotto, Gli ultimi affreschi, cit. p. 245 e da T. Serena, Scuole elementari, cit. p. 100. torna alla lettura